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Category: Rassegna Stampa

RANSOMWARE – Rimane il principale rischio cyber per le aziende, ma emergono nuove minacce

RANSOMWARE – Rimane il principale rischio cyber per le aziende, ma emergono nuove minacce

Report sul cyber risk di Allianz Global Corporate & Specialty: il costo crescente degli attacchi ransomware influisce sulle aziende di tutte le dimensioni

Il ransomware rimane il principale rischio informatico per le aziende a livello globale, mentre gli incidenti che compromettono le e-mail aziendali sono in aumento e cresceranno ulteriormente nell’era del “deep fake”. Allo stesso tempo, secondo un nuovo report di Allianz Global Corporate & Specialty (AGCS), la guerra in Ucraina e le tensioni geopolitiche più ampie rappresentano una delle principali preoccupazioni, in quanto le ostilità potrebbero riversarsi nel cyber spazio e causare attacchi mirati contro aziende, infrastrutture o supply chain.

L’analisi annuale di AGCS sul panorama del rischio informatico evidenzia anche le minacce emergenti poste dal crescente affidamento ai servizi cloud, da un panorama di responsabilità civile in evoluzione che comporta risarcimenti e sanzioni più elevati, nonché dall’impatto della carenza di professionisti della sicurezza informatica. Secondo il report, queste potenziali vulnerabilità fanno sì che oggi la resilienza della sicurezza informatica di un’azienda venga esaminata da un numero maggiore di soggetti rispetto al passato, compresi gli investitori globali, tanto che molte aziende la classificano come il loro principale rischio ambientale, sociale e di governance (ESG).

“Gli scenari del rischio cyber non permettono di dormire sugli allori. I ransomware e le truffe di phishing sono più che mai attivi e a ciò si aggiunge la prospettiva di una guerra informatica ibrida”, afferma Scott Sayce, Global Head of Cyber di AGCS e Group Head del Cyber Centre of Competence. “La maggior parte delle aziende non sarà in grado di eludere una minaccia cyber. Tuttavia, è chiaro che le organizzazioni con una buona maturità in questo campo sono preparate per affrontare gli incidenti.  Anche quando vengono attaccate, le perdite sono in genere meno gravi grazie a meccanismi di identificazione e risposta consolidati”.

“Benchè si vedano notevoli progressi, la nostra esperienza dimostra che molte aziende devono ancora rafforzare i loro controlli, in particolare per quanto riguarda la formazione sulla sicurezza informatica, una migliore segmentazione della rete per gli ambienti critici e i piani di risposta agli incidenti e la governance della sicurezza. In qualità di assicuratori cyber, siamo disposti ad andare oltre il puro trasferimento del rischio, aiutando i clienti ad adattarsi ad un panorama di rischio in continua evoluzione e ad aumentare i loro livelli di protezione”.

In tutto il mondo, la frequenza degli attacchi ransomware rimane elevata, così come i relativi costi degli indennizzi. Nel 2021 si è registrato un record di 623 milioni di attacchi, il doppio rispetto al 2020. Sebbene la frequenza si sia ridotta del 23% a livello mondiale durante la prima metà del 2022, il totale ad oggi supera già quello degli interi anni 2017, 2018 e 2019, mentre in Europa gli attacchi hanno subito un’impennata in questo periodo. Dal punto di vista di AGCS, il valore delle richieste di risarcimento per ransomware in cui la compagnia è stata coinvolta insieme ad altri assicuratori, ha rappresentato ben oltre il 50% di tutti i costi dei sinistri cyber nel 2020 e 2021.

La doppia e tripla estorsione è ormai la norma

“Il costo degli attacchi ransomware è aumentato perché i criminali hanno preso di mira aziende più grandi, infrastrutture critiche e supply chain. I criminali hanno affinato le loro tattiche per estorcere più denaro”, spiega Sayce. “Gli attacchi a doppia e tripla estorsione sono ormai la norma: oltre alla crittografia dei sistemi, i dati sensibili vengono sempre più spesso rubati e utilizzati come leva per le richieste di estorsione a partner commerciali, fornitori o clienti”. La gravità del ransomware rimarrà probabilmente una minaccia chiave per le aziende, alimentata dalla crescente sofisticazione dei criminali e dall’aumento dell’inflazione, che si riflette nell’aumento dei costi degli specialisti IT e di sicurezza informatica.

Un numero sempre maggiore di piccole e medie imprese, che spesso non dispongono di controlli e risorse da destinare alla sicurezza informatica, viene preso di mira dai criminali, mentre le aziende più grandi investono maggiormente nella sicurezza. Gli estorsori utilizzano un’ampia gamma di tecniche di persecuzione, adattano le loro richieste di riscatto ad aziende specifiche e si avvalgono di negoziatori esperti per massimizzare i profitti.

Truffe sofisticate

Gli attacchi BEC (Business email compromise) continuano ad aumentare, favoriti dalla crescente digitalizzazione, disponibilità di dati, dal passaggio al lavoro da remoto e, sempre più spesso, dalla tecnologia “deep fake” e dalle conferenze virtuali. Secondo l’FBI, le truffe BEC hanno totalizzato 43 miliardi di $ a livello globale dal 2016 al 2021, con un’impennata del 65% solo tra luglio 2019 e dicembre 2021. Gli attacchi stanno diventando sempre più sofisticati e mirati: i criminali ora utilizzano piattaforme di riunioni virtuali per ingannare i dipendenti e indurli a trasferire fondi o condividere informazioni sensibili. Sempre più spesso, questi attacchi sono consentiti dall’intelligenza artificiale che permette di creare audio o video “deep fake” che imitano i dirigenti. L’anno scorso, un dipendente di una banca degli Emirati Arabi Uniti ha effettuato un trasferimento di 35 milioni di dollari dopo essere stato ingannato dalla voce clonata di un direttore d’azienda.

La minaccia della guerra informatica

La guerra in Ucraina e le più ampie tensioni geopolitiche sono un fattore importante che sta ridisegnando il panorama delle minacce informatiche, in quanto aumentano il rischio di spionaggio, sabotaggio e attacchi cyber distruttivi contro le aziende legate alla Russia e all’Ucraina, oltre che agli alleati e ai paesi limitrofi. Atti cyber sponsorizzati dallo Stato potrebbero potenzialmente prendere di mira infrastrutture critiche, supply chain o aziende. “Per il momento la guerra tra Russia e Ucraina non ha portato a un notevole aumento delle richieste di risarcimento per la cyberassicurazione, ma indica un potenziale aumento del rischio da parte degli Stati nazionali”, spiega Sayce. Sebbene gli atti di guerra siano tipicamente esclusi dai prodotti assicurativi tradizionali, il rischio di una guerra cibernetica ibrida ha accelerato gli sforzi del mercato assicurativo per affrontare la questione della guerra e degli attacchi cyber sponsorizzati da uno Stato sia nella formulazione dei testi di polizza sia nel fornire chiarezza di copertura ai clienti.

Gli esperti di AGCS individuano una serie di altri trends evidenziati nel report Cyber: The changing threat landscape, tra cui:

  • Gli hacker si concentrano sulle supply chain vulnerabili: gli attacchi alla supply chain che si tratti di infrastrutture critiche come la Colonial Pipeline o di servizi cloud – sono considerati un rischio significativo. Sempre più spesso, i criminali del ransomware utilizzano la minaccia di interruzione del servizio per spingere le aziende a pagare un riscatto e le imprese manifatturiere sono particolarmente vulnerabili.
  • Outsourcing del cloud: le aziende continuano a trasferire i loro servizi e l’archiviazione dei dati nel cloud, nonostante le crescenti preoccupazioni sulla sicurezza e sull’aggregazione dei rischi. Affidandosi a un piccolo numero di fornitori di servizi cloud o di sicurezza informatica, si stanno creando grandi concentrazioni verso pochi punti deboli. È opinione comunemente errata che il fornitore di outsourcing o di cloud si assuma la piena responsabilità in caso di incidente.
  • La responsabilità di terzi, comprese multe e sanzioni, sta diventando sempre più rilevante con i progressi della tecnologia, le organizzazioni che raccolgono più informazioni e l’applicazione delle norme sulla privacy dei dati. Quasi tutti gli incidenti informatici, compreso il ransomware a doppia estorsione, possono portare a cause legali e a richieste di risarcimento da parte delle parti colpite.
  • La carenza di professionisti ostacola gli sforzi per migliorare la sicurezza informatica. Sebbene ci sia una crescente consapevolezza da parte dei consigli di amministrazione, il numero di posti di lavoro non occupati nel settore della sicurezza informatica in tutto il mondo è cresciuto del 350% negli ultimi otto anni, raggiungendo i 3.5 milioni, secondo le stime, il che significa che molte aziende faticano ad assumere, con un impatto sulla loro capacità di migliorare la propria posizione in materia di sicurezza informatica.
  • La sicurezza informatica è sempre più vista attraverso la lente ESG. Oggi la resilienza della sicurezza informatica delle aziende viene esaminata da un numero molto maggiore di stakeholder rispetto al passato. Sempre più spesso le considerazioni sulla sicurezza informatica vengono incorporate nei quadri di analisi del rischio ESG dei fornitori di dati, che analizzano le pratiche delle aziende per valutarne la preparazione alla criminalità informatica. Assicurarsi che i processi e le politiche informatiche di un’azienda siano compresi a livello di consiglio di amministrazione e che siano in atto processi di monitoraggio del rischio non è mai stato così importante.

In risposta a un ambiente di rischio più complesso e all’aumento dei sinistri cyber, il settore assicurativo è passato a un processo di sottoscrizione più rigoroso nel tentativo di valutare meglio i profili di rischio informatico dei clienti e di incentivare le aziende a migliorare i controlli di sicurezza e di gestione del rischio.

“La buona notizia è che stiamo assistendo a una discussione molto diversa sulla qualità del rischio cyber rispetto a qualche anno fa”, afferma Sayce. “Stiamo ottenendo informazioni molto più precise e apprezziamo il fatto che i clienti facciano il possibile per fornirci dati completi. Questo ci aiuta a fornire più valore e a offrire informazioni e consigli utili ai clienti, come ad esempio quali controlli sono più efficaci o dove migliorare ulteriormente la gestione del rischio e gli approcci di risposta. Il risultato netto dovrebbe essere un numero minore o meno significativo di eventi cyber per i nostri clienti e un numero minore di richieste di risarcimento per noi. Questa collaborazione contribuirà anche alla creazione di un mercato assicurativo informatico sostenibile a lungo termine che non si basa solo sulle coperture tradizionali ma anche, in misura crescente, sull’integrazione dei rischi informatici nei programmi captive e in altri concetti alternativi di trasferimento dei rischi”.

FONTE:

ASSICURAZIONE – Può servire a frodare i creditori?

GIURISPRUDENZA

Brevi riflessioni sull’impignorabilità e sul ruolo degli intermediari – Autore: Marco Rossetti – ASSINEWS 346 – novembre 2022   

L’impignorabilità degli indennizzi dovuti dall’assicuratore sulla vita era in origine una misura vòlta a tutelare il risparmio. Ma l’avvento dei prodotti misti assicurativi-finanziari ha fatto saltare gli schemi, e oggi non è raro che si ricorra ad uno di questi contratti ibridi per sottrarre le proprie disponibilità finanziarie ai creditori. Si può fare? E l’intermediario consapevole è un “complice”?

1. Un uomo previdente.

Tizio, volendo stipulare un’assicurazione sulla vita, si rivolse ad un intermediario finanziario. Il previdente giovanotto dichiarò senza mezzi termini all’intermediario (almeno così riferiscono gli atti giudiziari) di volere stipulare un’assicurazione sulla vita “allo scopo di conseguire l’impignorabilità delle somme dovutegli dall’assicuratore”.

L’intermediario (una banca) gli propose allora un bel contratto – come ce ne sono tanti – formalmente intitolato “assicurazione sulla vita”; gli consegnò come da copione i soliti sei chilogrammi di moduli da firmare, ivi compresa la nota informativa nella quale si proclamava solennemente che “le somme dovute dall’assicuratore in virtù del presente contratto non sono pignorabili né sequestrabili”.

1.1. Tizio, però, aveva un creditore. E questo creditore evidentemente doveva essere particolarmente tignoso, perché in mancanza d’altro andò a pignorare il credito di Tizio verso l’assicuratore: praticamente, un importo pari ai (cospicui) premi versati. Il nostro debitore ovviamente propose opposizione all’esecuzione, ed all’esito del relativo giudizio ex art. 615 c.p.c. ecco la sorpresa, tanto brutta per lui, quanto gradevole per il creditore pignorante: quel contratto, sentenziò il Tribunale, non era affatto un’assicurazione sulla vita, checché: quel contratto era un normale contratto di investimento finanziario.

1.2. Non sappiamo su quali argomenti il Tribunale ritenne di fondare tale decisione, ma certamente dovettero essere assai convincenti, perché a questo punto il nostro assicurato lasciò stare il processo esecutivo, ed iniziò una bella causa di annullamento del contratto per errore, nei confronti congiuntamente dell’assicuratore e dell’intermediario.

A fondamento della domanda articolò un ragionamento del seguente tipo:

-) io volevo un contratto di assicurazione, perché mi serviva l’impignorabilità, e glielo dissi anche, all’intermediario;

-) l’intermediario mi ha venduto un prodotto finanziario invece di un’assicurazione sulla vita;

-) quindi io sono caduto in errore: e poiché l’errore era rilevante e riconoscibile, ora voglio che il contratto sia annullato (art. 1427 c.c.) e l’intermediario condannato al risarcimento dei danni, insieme con l’assicuratore preponente.

2. Tanti problemi sul tappeto.

La vicenda appena riassunta ha messo sul tavolo del giudicante molti e complessi problemi, alcuni dei quali – ma non tutti – affrontati e risolti da una recente sentenza della Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. III, 27.7.2022 n. 23409).

Questi problemi possono così riassumersi:

a) chi doveva provare l’esistenza dell’errore e la sua riconoscibilità da parte dell’intermediario?

b) è lecito stipulare un contratto di assicurazione al solo fine di sottrarre al creditore una somma di denaro e renderla impignorabile?

c) l’intermediario che si presta a una simile operazione risponde verso il creditore dell’assicurato?

d) e se invece l’intermediario non si presta a una simile operazione, risponde nei confronti dell’assicurato? (L’intermediario, il sagace lettore lo avrà intuito, ancora una volta viene a trovarsi tra l’incudine e il martello).

Proviamo a rispondere con un po’ d’ordine.

3. L’onere della prova.

Se il consenso di una delle parti “fu dato per errore” il contratto è annullabile (articolo 1427 c.c.); l’errore, tuttavia, per portare all’annullamento del contratto, deve essere essenziale e riconoscibile. L’errore è essenziale quando cade sulla natura o sull’oggetto del contratto (art. 1429, primo comma, n. 1, c.c.): e ovviamente non possono nutrirsi dubbi sul fatto che costituisca un errore essenziale quello di chi in buona fede crede di stipulare una polizza di assicurazione sulla vita e invece sta stipulando un contratto avente ad oggetto l’acquisto di strumenti finanziari.

L’errore, poi, è riconoscibile, quando “in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo” (art. 1431 c.c.).

Dunque l’errore di chi, volendo stipulare un’assicurazione sulla vita, acquista uno strumento finanziario, può condurre all’annullamento del contratto solo se tale errore poteva essere rilevato da un “intermediario di normale diligenza”. L’intermediario è un professionista, e la diligenza del professionista va valutata non alla stregua della condotta che nelle medesime circostanze avrebbe tenuto un qualsiasi “buon padre di famiglia”, ma alla stregua del più rigoroso criterio di cui al secondo comma dell’articolo 1176 c.c.: vale a dire comparando la condotta tenuta dall’intermediario con la condotta ideale che, nelle medesime circostanze, avrebbe tenuto l’homo eiusdem generis et condicionis, vale a dire un modello teoricamente perfetto di intermediario.

Va da sé che la relativa prova può risultare in concreto particolarmente difficile a darsi, quale che sia la parte sulla quale si faccia ricadere il relativo onere.

Da un lato, infatti, non è certo agevole per l’assicurato dimostrare di avere espressamente richiesto all’intermediario un contratto di assicurazione sulla vita, al fine di garantirsi l’impignorabilità; dall’altro lato, però, non è meno agevole per l’intermediario dimostrare di non aver ricevuto alcuna richiesta in tal senso dall’assicurato.

Si comprende dunque come in una controversia di questo tipo diventa fondamentale stabilire come debba ripartirsi l’onere della prova, e altrettanto fondamentale diventa stabilire se all’azione di annullamento del contratto per errore-vizio sia applicabile l’articolo 178 del codice delle assicurazioni.

Tale norma stabilisce infatti che “nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al contraente di un contratto di assicurazione sulla vita (…) spetta all’impresa l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta”.

3.1. Proprio questa questione (l’applicabilità dell’articolo 178 codice delle assicurazioni all’azione di annullamento del contratto per errore) è stata decisa dalla Corte di Cassazione con la sentenza sopra ricordata (23409/22), e lo è stata nel senso che la suddetta norma non si applica all’azione di annullamento del contratto per errore.

Tale soluzione è stata argomentata dalla Corte di Cassazione sulla base di due argomenti: la lettera della legge e l’oggetto della prova.

La lettera della legge – ha osservato la S.C. – parla esclusivamente di “giudizio di risarcimento danni”, e dunque la previsione del codice non può essere estesa a giudizi di tipo diverso, quale l’azione di annullamento contrattuale.

Quanto all’oggetto della prova, ha osservato la Corte di Cassazione che l’art. 178 cod. ass. impone all’impresa assicuratrice “di aver agito con la specifica diligenza richiesta”, ma nel caso in cui l’assicurato incorre in un errore, ciò che deve essere accertato non è se l’impresa assicuratrice abbia “agito”, ma soltanto se abbia “riconosciuto” l’errore stesso.

All’azione di annullamento del contratto per errore troveranno dunque applicazione i principi generali tante volte affermati dalla Corte di Cassazione con riferimento a contratti diversi da quello di assicurazione, e cioè che è onere di chi chiede l’annullamento del contratto dimostrare sia di essere caduto in errore, sia che l’errore era essenziale, sia che l’errore poteva essere riconosciuto dalla controparte (ex multis, Cass. civ., sez. lav., 09-03-2011, n. 5552; Cass. civ., sez. II, 13-03-2006, n. 5429; Cass. civ., sez. III, 08-06-2004, n. 10815; Cass. civ., sez. II, 19-08- 1998, n. 8201).

Secondo tutte le decisioni appena ricordate, “la parte che deduce di essere incorsa in un errore di fatto sulla natura di un contratto e ne chiede l’annullamento deve indicare quale altro contratto intendeva concludere, mentre per l’errore sull’oggetto deve dimostrare che l’errore cade sull’identità di esso; essa inoltre ha l’onere di dimostrare l’essenzialità dell’errore e la sua riconoscibilità dalla controparte con l’uso dell’ordinaria diligenza”.

3.2. Applicando questi princìpi la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva rigettato la pretesa attorea, sul presupposto che l’assicurato:

a) non aveva provato di avere espressamente richiesto la stipula di un contratto che lo mettesse al riparo dal rischio di pignoramento delle somme investite;

b) non aveva provato che il suo errore fosse conosciuto o conoscibile dall’intermediario;

c) la mera circostanza che all’assicurato fosse stato consegnato un prospetto nel quale si garantiva l’impignorabilità, in assenza delle prove sub (a) e (b), era irrilevante.

Tutto chiarito, dunque? Ahimé, no.

Se infatti la Corte ha chiarito che l’art. 178 cod. ass. non s’applica alle azioni di annullamento (sospiro di sollievo per gli intermediari), molti altri problemi restano sul tappeto, irrisolti.

4. E lazione di danni?

Immaginiamo che il nostro assicurato, invece di chiedere l’annullamento del contratto (scelta improvvida, per quanto si dirà), avesse deciso di chiedere solo il risarcimento del danno da inadempimento dell’obbligo informativo. Gli sarebbe andata meglio? Probabilmente sì.

L’intermediario (tanto assicurativo quanto finanziario) è infatti legato da un contratto all’assicurato (o almeno lo era nel caso di specie, trattandosi di una banca); fornire alrisparmiatore una completa informazione è un obbligo di fonte legale; la violazione dell’obbligo informativo legittima l’assicurato a domandare il risarcimento del danno.

Ed in un giudizio di danno il nostro assicurato non avrebbe affatto avuto da superare lo scoglio della prova della riconoscibilità dell’errore. Gli sarebbe bastato dedurre e provare che:

a) era stato informato per iscritto dell’impignorabilità della somma investita;

b) la somma investita era stata invece pignorata;

c) il pignoramento era stato ritenuto legittimo dall’autorità giudiziaria.

Se dunque avesse optato per una azione di danno, il nostro assicurato avrebbe avuto dinanzi a sé una strada spianata per ottenere sia l’affermazione della responsabilità dell’intermediario (e, per lui, dell’assicuratore), sia una pronuncia di condanna.

5. Il diavolo fa le pentolenon i coperchi.

Sin qui si sono esposte le technicalities della vicenda. Resta però sullo sfondo un enorme problema “di sistema”, non esaminato dalla Corte (ma che non poteva essere esaminato, perché non dedotto in giudizio).

E il problema è il seguente: è possibile stipulare una polizza vita al solo fine di sottrarre parte del proprio patrimonio all’azione esecutiva dei creditori?

E può essere ritenuto meritevole di tutela la pretesa di chi, volendo frodare i creditori, non ci riesca “per errore”?

5.1. Il primo problema è il più semplice: ovviamente non è possibile stipulare un’assicurazione per frodare i creditori.

Il debitore risponde dei propri debiti con tutti i propri beni presenti e futuri (art. 2740 c.c.), ed al di fuori delle ipotesi previste dalla legge non è consentito precostituirsi patrimoni separati.

Dunque anche la stipula d’una assicurazione sulla vita, se compiuta in frode dei creditori, potrà essere resa inefficace verso questi ultimi mediante il ricorso all’azione revocatoria (art. 2901 c.c.).

Lo stabilisce espressamente il secondo comma dell’art. 1923 c.c., il quale fa salve “rispetto ai premi pagati” le norme sull’azione revocatoria (art. 2901 c.c.), sulla collazione (art. 737 c.c.), sull’imputazione (art. 751 c.c.) e sulla riduzione (artt. 555 e ss. c.c.) delle donazioni.

La norma ovviamente riguarda soltanto i creditori e gli eredi del contraente, in quanto il beneficiario d’una polizza vita non è obbligato al pagamento del premio.

I creditori del contraente possono dunque far dichiarare inefficace nei propri confronti il pagamento dei premi, ove ricorrano i requisiti prescritti dagli artt. 2901-2904 c.c. ovvero, nel caso di revocatoria fallimentare, quelli di cui all’art. 67 l. fall..

L’azione revocatoria può essere proposta dai creditori del contraente sia nel caso in cui questi abbia stipulato un’assicurazione a favore proprio, sia nel caso in cui abbia stipulato un’assicurazione a favore di terzi. Nel primo caso legittimato passivamente sarà l’assicuratore, nel secondo caso legittimato passivo sarà il beneficiario, perché è questi che riceve un vantaggio dall’atto di disposizione patrimoniale (pagamento del premio) compiuto dal contraente. Spetterà ovviamente al creditore dimostrare l’eventus damni e la scientia fraudis del terzo. Ovviamente nulla rileva se, al momento dell’introduzione della domanda, il rischio dedotto nella polizza si sia verificato o meno.

Agli eredi del contraente, i quali assumano che il pagamento dei premi abbia leso la loro quota di legittima, l’art. 1923, comma 2, c.c., appresta tutela espressamente prevedendo l’applicabilità ai premi pagati:

a) delle norme sulla collazione delle donazioni (art. 737 c.c.): ciò vuol dire che il coniuge, i figli od i discendenti del contraente, se siano stati indicati nella polizza come beneficiari, alla morte del contraente debbono conferire nell’asse l’importo dei premi pagati dal decuius, salvo dispensa effettuata dal testatore (la quale comunque è efficace solo nei limiti della quota disponibile: art. 737 c.c.);

b) delle norme sull’imputazione delle donazioni in denaro (art. 751 c.c.)1: ciò vuol dire che il soggetto obbligato alla collazione, invece di conferire nell’asse i premi pagati a suo favore per 100, e riscuotere quale quota ereditaria 500, dovrà riscuotere dall’asse ereditario direttamente 400;

c) delle norme sulla riduzione delle donazioni eccedenti la quota disponibile (art. 555 e ss. c.c.): ciò vuol dire che il terzo beneficiario, in caso di vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, dovrà restituire all’asse un valore pari al coacervo dei premi pagati dal defunto, detratto l’importo della quota disponibile (artt. 559 c.c.).

Gli eredi del contraente in definitiva sono tutelati dalla legge solo se:

a) l’assicurazione sulla vita sia stata stipulata favore del terzo;

b) a designazione del terzo beneficiario sia stata effettuata a titolo di liberalità.

Il primo requisito non necessita di spiegazioni: gli eredi del contraente non possono infatti dolersi dell’uso che il de cuius ha fatto del proprio denaro e per il proprio tornaconto.

Il secondo requisito è necessario perché solo la donazione può essere soggetta a riduzione e/o collazione. Pertanto, se la designazione del terzo fosse avvenuta – ad esempio – solvendi causa, agli eredi del contrante non sarà data alcuna azione nei confronti del terzo beneficiario, nemmeno se il coacervo dei premi pagati ecceda la quota disponibile. Ovviamente nel giudizio di riduzione proposto ai sensi dell’art. 1923 c.c. la causa di liberalità può presumersi ex art. 2727 c.c. per il solo fatto che sia dimostrata la designazione del terzo, mentre sarà onere di quest’ultimo dimostrare che la propria designazione quale beneficiario del contratto sia avvenuta a titolo oneroso.

5.2. Il secondo problema è più complesso, ma – per non tediare troppo il lettore, certamente già stanco se mi ha seguito sin qui – lo potremmo risolvere così: esiste un principio generale dell’ordinamento, per cui nessuna condotta illecita può trovare in esso tutela (fraus omnia corrumpit).

Orbene, chi volesse stipulare un contratto di assicurazione al solo fine di sottrarsi all’azione esecutiva da parte dei suoi creditori, e per errore stipulasse un contratto diverso, non potrebbe pretendere di far valere il proprio errore.

Il paradossale esito, infatti, d’una azione di annullamento consisterebbe nel consentire al debitore di portare a termine il proprio disegno fraudolento in danno dei creditori.

5.3. Resta da dire dell’intermediario: se questi, essendo a conoscenza dell’intento fraudolento dell’assicurato, lo agevola, si rende corresponsabile verso i creditori dell’assicurato stesso?

Certamente sì. Da tempo la giurisprudenza ha infatti ammesso la figura del “danno da lesione del credito”, e il caso in esame potrebbe rappresentare un pregiudizio di questo tipo. Si pensi all’ipotesi dell’assicurato che stipuli un contratto in frode dei creditori; che costoro si vedano bloccare l’azione esecutiva dall’eccezione di impignorabilità; che prima del promovimento dell’azione revocatoria da parte dei creditori il terzo occulti l’indennizzo pagatogli dall’assicuratore, e resti impossidente. In una simile ipotesi il credito verso l’assicurato è andato perduto, ed alla sua perdita ha fornito un valido nesso di causa l’intermediario: di qui la sua responsabilità verso il creditore dell’assicurato.

Insomma, chi s’accompagna al mugnaio prima o poi s’infarina.


1 Ovviamente solo quelle sull’imputazione del denaro, posto che sia il premio, sia l’indennizzo vengono pagati in denaro.

Marco Rossetti Consigliere della Corte di Cassazione Terza Sezione Civile

FONTE:

ASSICURAZIONE – Può servire a frodare i creditori?
POLIZZA INCENDIO RISCHI INDUSTRIALI – Clausola di Colpa Grave

POLIZZA INCENDIO RISCHI INDUSTRIALI – Clausola di Colpa Grave

Copertura incendio rischi industriali: in caso di sinistro che colpisca la garanzia INCENDIO ed al rilevamento in sede di perizia dell’assenza colposa di SCIA e di altre non curanze come ad esempio lo stipamento di merci con punto di infiammabilità basso a ridosso del soffitto o la mancata compartimentazione di alcune merci più facilmente combustibili la compagnia può appellarsi alla clausola di aggravamento del rischio anche se tali negligenze non costituiscano a nostro avviso un aggravamento dell’attività che il cliente avrebbe potuto comunicare alla compagnia nella maniera intesa dal citato articolo del C.C. ancorché  in presenza in polizza dell’inclusione della garanzia colpa grave degli assicurati. 

ESPERTO RISPONDE

La stipulazione di una polizza incendio e/o di qualsiasi altro settore prevede – nel caso in cui la Compagnia assicuratrice non effettui un sopralluogo tecnico e/o una loss prevention – l’acquisizione di informazioni sul rischio generalmente affidata alla compilazione di un questionario predisposto dalla compagnia e sottoscritto dall’assicurando – e la successiva emissione della polizza – nel rispetto dell’adeguatezza alle richieste dell’assicurando, con eventuali condizioni particolari che possono ampliare e/o limitare la prestazione dell’assicuratore ma chiaramente accettate dall’assicurato.

Le clausole di colpa grave – da riportare esplicitamente – per derogare alla prescrizione dell’art. 1900 CC, sono formulate in vario modo (spesso già predisposte nello stampato con la necessità di un semplice richiamo).

L’assenza colposa della SCIA potrebbe essere ricompresa nelle limitazioni all’operatività della polizza di detta clausola (bisogna quindi esaminare il testo adottato).

Se la descrizione dell’attività dell’assicurato non è soggetta a particolari comportamenti ma è data in forma generica tutte le negligenze elencate non configurano un comportamento doloso per cui la compagnia le oppone per giungere ad una transazione, che l’assicurato è portato ad accettare dal momento che il ricorso all’AG comporta solo disagi, spese, tempi di liquidazione infiniti.

FONTE:

CRIF – Impatti dei cambiamenti climatici sulle imprese, 1 su 3 è a rischio

Nuovi rischi dai cambiamenti climatici: nel 2050 il 7% delle aziende italiane sarà a rischio perdite per ondate di calore, con punte fino al 55% nel Sud Italia

I rapidi cambiamenti climatici già in corso stanno portando a una revisione del paradigma attraverso il quale si valutano gli impatti e i danni dei fenomeni naturali, a causa dei mutamenti della pericolosità e del rischio a cui sono esposte aziende e famiglie per via di questi fenomeni.

CRIF e RED – società altamente specializzata nello sviluppo di prodotti e servizi nel campo della valutazione dei rischi indotti da eventi naturali estremi e connessi al clima – hanno promosso uno studio analitico volto a definire e misurare i rischi fisici, tenendo in considerazione i potenziali impatti del cambiamento climatico su di essi. Evidenze della ricerca sono state presentate in anteprima nella sessione “The Next Insurance Generation: metadata e tecnologia, percorsi obbligati per la redditività” del CRIF Finance Meeting, l’evento che ha visto confrontarsi a Milano oltre 50 speaker del mondo assicurativo e bancario.

Nello specifico, lo studio ha stimato la probabilità che si verifichino perdite economiche, siano esse costi di riparazione di danni, mancati introiti o costi da interruzione di servizio, innescate da fenomeni naturali. Il framework metodologico CRIF-RED copre 17 rischi climatici elencati nel regolamento delegato UE 2021/2139 del 4 giugno 2021 e aggiunge la valutazione della rischiosità legata al terremoto, data la sua significativa rilevanza sul territorio italiano e non solo.

In particolare, dallo studio emerge che in Italia 1 impresa su 3 è esposta a potenziali perdite economiche a causa di fenomeni naturali.

“Si stima che nel 2021 i disastri naturali abbiano causato più di 10 mila morti e 250 miliardi di dollari di danni economici in tutto il mondo. In Italia, sebbene la numerosità e sinistrosità degli eventi meteorologici catastrofali sia in crescita, la penetrazione delle polizze a garanzia contro perdite innescate da eventi climatici rimane marginale. Secondo dati ANIA le coperture assicurative per gli eventi catastrofali sono ancora scarsamente diffuse – commenta Giuseppe Dosi, Head of Insurance di CRIF . E se tradizionalmente l’Italia sconta un protection gap rispetto ai principali Paesi europei, la carenza di protezione assicurativa nei confronti di eventi catastrofali sembra dovuta anche ad alcuni fattori strutturali”.

Al fine di diffondere una maggiore consapevolezza e supporto nella stima dei rischi, nello studio CRIF-RED vengono indagati gli impatti odierni ma anche quelli futuri, in un orizzonte al 2050, influenzati dai cambiamenti climatici. Sul mercato infatti si assiste a una sottostimata percezione di pericolo da parte delle aziende e a una non ancora perfettamente adeguata offerta sul mercato di prodotti a tutela del rischio da eventi naturali. La stima di questi impatti sta diventando un tema sempre più centrale man mano che ci si proietta in un futuro anche non troppo lontano.

Stima degli impatti economici dei cambiamenti climatici nelle diverse regioni

Con riferimento ad alcuni dei rischi fisici tra i più tipici, si mostrano le 10 province più esposte (in termini di percentuale di aziende esposte a livelli di rischio alto o molto alto) alle frane, alle inondazioni e alle forti precipitazioni. I dati dello studio CRIF-RED rivelano, infatti, che i cambiamenti nella pericolosità non sono uniformi in tutto il territorio italiano.

Per quanto riguarda il rischio frane, lo studio rivela che le province interamente ubicate in zone montuose, in particolare nelle Alpi, sono quelle più esposte. Aosta, Sondrio, Trento e Belluno presentano più del 40% delle loro aziende esposte a un rischio alto.

Il rischio inondazione è elevato nelle province ubicate nella bassa valle del Po (Rovigo e Ferrara), in zone costiere a scarsa elevazione (Gorizia) o in zone caratterizzate da piogge torrenziali e inondazioni improvvise (Genova e Catania).

In termini di forti precipitazioni la provincia più esposta è quella del Verbano-Cusio-Ossola, che presenta sia rischio di forti nevicate che di grandine, seguita da Lecce e Siracusa, dove il regime di precipitazioni è particolarmente intenso e sono frequenti anche le grandinate.

Figura 1: elenco delle prime 10 province in termini di percentuale più elevata di siti aziendali a rischio alto o molto alto di danni economici da frana, inondazione e forti precipitazioni (incluso grandine e neve) allo stato attuale del clima. Fonte elaborazione CRIF-RED su dati proprietari.

Frane

Inondazioni

(costiere, fluviali e pluviali)

Forti precipitazioni

(incluse grandine e nevicate)

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Fonte: CRIF – RED

Lo studio approfondisce e rivela i potenziali impatti sulle aziende anche di altri fenomeni naturali, al giorno d’oggi spesso considerati secondari in termini di impatto economico, come le ondate di calore e lo stress idrico.

Il rischio da ondate di calore – per il quale si presentano i dati estratti in condizioni di clima previsto per il 2040-2049 – data la forte influenza del riscaldamento globale su questo fenomeno, risulterà più omogeneo tra i territori pur interessando maggiormente le province nel Sud Italia e quelle della valle del Po.

Figura 2: elenco delle prime 10 province in termini di percentuale più elevata di siti aziendali a rischio alto o molto alto di danni economici da ondate di calore con riferimento al clima previsto per il periodo 2040-2029. Fonte elaborazione CRIF-RED su dati proprietari.

Ondata di calore

Fonte: CRIF – RED

Da un punto di vista settoriale, invece, Agricoltura, Commercio e Logistica risultano essere i settori maggiormente colpiti nel contesto prospettico.

Figura 3: Percentuale settoriale di sedi aziendali con almeno uno tra i 18 pericoli analizzati a rischio alto con riferimento al clima previsto per il periodo 2040-2029. Fonte elaborazione CRIF-RED su dati propri.

Rischiosità climatica

Fonte: CRIF – RED

Al contrario, il settore servizi è quello con il minor numero di aziende esposte ad almeno un rischio alto, a causa della sua elevata resilienza ai rischi considerati. Ciononostante, anche nel settore più resiliente tra tutti, la percentuale di imprese a rischio alto su almeno un pericolo supera il 25%, rendendo di immediata comprensione l’impatto e la rilevanza del rischio fisico nel futuro delle aziende italiane.

Nello studio è infine presentata una quantificazione delle perdite medie annue attese derivanti dagli impatti dei rischi fisici che permettono di trarre alcune conclusioni preliminari ma significative.

La quantificazione delle perdite medie attese è frutto dell’applicazione di una suite CRIF-RED di prodotti di analisi – Climate Risk Analytics Suite – riconosciuta dalla Banca d’Italia e dall’Innovation Hub della Banca dei Regolamenti Internazionali come vincitrice del premio G20 TechSprint 2021 nell’ambito della finanza green e sostenibile.

Si stima che la perdita media annua attesa causata da inondazioni, terremoti, frane e vento estremo sia circa pari allo 0.65%del fatturato odierno delle aziende. Il dato è ancora più significativo se si considera che per effetto del cambiamento climatico,tali perdite cresceranno al 2050 di circa l’8%.

“Esiste un gap tra la oramai grande disponibilità di informazioni e dati riguardo ai fenomeni naturali, come quelli climatici, ed il bisogno di quantificare le loro conseguenze in termini economici concreti. Questo è ancora più evidente ed emergente per le attività economiche del nostro territorio. Per colmare questo gap è necessario da una parte utilizzare avanzati modelli matematici che traducano ad una scala locale gli impatti degli eventi naturali e, dall’altra, piattaforme informatiche flessibili che li sappiano combinare con tutti gli altri dati economici, tecnici ed ambientali necessari per una stima quantitativa, seppure inevitabilmente affetta da incertezza, del rischio. Il cambiamento climatico, prima ancora che la normativa comunitaria ed internazionale, rende urgente questa pratica per la gestione del rischio e le politiche di adattamento da parte delle aziende italiane” – afferma Mario Martina, Scuola superiore IUSS e RED Director.

“Il beneficio per le aziende, nonché futuro vantaggio competitivo per le compagnie assicurative, è strettamente collegato alla possibilità di disporre – in un contesto climatico in evoluzione che rende obsoleti i tradizionali modelli attuariali – di strumenti evoluti di valutazione dei rischi collegati a fenomeni climatici per migliorare il pricing e l’underwriting sul business Danni, per quanto riguarda il segmento aziende, gli immobili residenziali e i veicoli. In chiave prospettica, la disponibilità di scenari evolutivi a 20/30 anni contribuisce a definire, come sollecitato anche da EIOPA, l’orizzonte di medio/lungo periodo per la strategia di offerta assicurativa e la valutazione complessiva del rischio collegati al cambiamento climatico” – conclude Giuseppe Dosi.

FONTE:

CRIF – Impatti dei cambiamenti climatici sulle imprese, 1 su 3 è a rischio
GERMANIA – Nel 2021 danni materiali record per il maltempo

GERMANIA – Nel 2021 danni materiali record per il maltempo

Il 2021 è stato per la Germania il peggior anno degli ultimi dieci anni nel settore delle assicurazioni immobiliari con riferimento agli episodi di maltempo. La spesa per i sinistri ammonta a un totale di undici miliardi di euro. Il solo Tief “Bernd” ha causato danni assicurati agli edifici residenziali e agli effetti domestici per 8,1 miliardi di euro. Di questi, 2,1 miliardi di euro sono stati attribuiti a 862 gravi perdite per un valore superiore a un milione di euro. In totale sono stati registrati 91.000 danni a edifici residenziali. Lo riferisce GDV nel suo “Rapporto sui pericoli naturali 2022”.

L’evento meteorologico estremo ha causato la somma più alta di danni assicurati a edifici residenziali ed effetti domestici fino ad oggi, pari a 8,1 miliardi di euro. Sono stati registrati molti modelli di perdita eccezionali.

Il rapporto riporta un totale di 862 gravi perdite per un valore superiore a un milione di euro. La spesa totale è di 2,1 miliardi di euro. Un anno fa si ipotizzava ancora che ci sarebbero state circa 400 grandi perdite per un importo totale di 1,3 miliardi di euro.

Nel distretto di Ahrweiler, particolarmente colpito, la perdita maggiore per una casa unifamiliare è stata di 960.000 euro. In totale, gli assicuratori hanno contato 2.187 danni assicurati a case unifamiliari con spese pari o superiori a 100.000 euro.

In totale sono stati denunciati alle compagnie assicurative 173.000 danni assicurati nei settori degli edifici residenziali, degli effetti domestici, del commercio e dell’industria, di cui 91.000 solo agli edifici residenziali.
Inoltre, sono state sostenute spese per 54.000 sinistri nell’ambito del contenuto della casa, per un costo di 700 milioni di euro. La richiesta di risarcimento media è stata di 13.000 euro.

Secondo gli autori del rapporto, anche le perdite subite dalle aziende sono state scioccanti e insolite. Gli assicuratori hanno registrato 28.000 danni assicurati, per un costo di 3,9 miliardi di euro. La perdita media è stata di 137.000 euro.

Attualmente il comparto si fa carico di spese per sinistri nel ramo property per un totale di undici miliardi di euro. Sono comprese le spese relative agli edifici residenziali, al contenuto della casa, alle linee commerciali, industriali e agricole. Gli effetti di tempeste e grandine sono costati 1,8 miliardi di euro, le distruzioni causate dai rischi naturali 9,2 miliardi di euro.

Di conseguenza, il 2021 è stato il peggior anno di tempesta degli ultimi dieci anni nel settore delle assicurazioni immobiliari. Solo gli anni 1990 (10,8 miliardi di euro) e 2002 (10,3 miliardi) si avvicinano al record del periodo dal 1973 a oggi.

FONTE:

PROFESSIONISTA – Spese di lite – La Cassazione decide nel merito condannando la Compagnia

L’assicurazione della responsabilità civile copre il professionista anche sulle spese di lite che l’assicurato è condannato a pagare al cliente nella causa persa per l’inadempimento nella prestazione che ha danneggiato l’assistito. L’unico limite per le spese di soccombenza è costituito dal massimale di polizza, mentre l’obbligo di manleva della compagnia non può essere ridotto soltanto perché il professionista si fa difendere da un legale di fiducia e non dall’avvocato indicato dall’assicurazione. Emerge dalla sentenza 29926, pubblicata il 13/10/2022 dalla Cassazione, III sez. civ.

Equiparazione smentita. Accolto il ricorso dell’odontoiatra manlevato dall’assicurazione nel risarcimento al cliente per gli errori compiuti nelle cure della paziente. Sbaglia la Corte d’appello a ridurre al 50 per cento l’indennizzo assicurativo sulle spese di lite e di consulenze tecniche – d’ufficio e di parte – che il professionista è condannato a versare alla cliente. E ciò sul rilievo che l’assicurato avrebbe violato l’obbligo di buona fede e correttezza ex articolo 1175 e 1375 Cc avvalendosi di un avvocato di fiducia e non del legale designato dalla compagnia, nonostante il patto di gestione della lite contenuto nel contratto. La Suprema corte, invece, decide nel merito condannando l’assicurazione a rifondere al professionista le spese di lite e di consulenza tecnica nella misura corrispondente alla proporzione tra l’ammontare liquidato a titolo di risarcimento e l’importo liquidato a titolo di restituzioni. L’errore del giudice di secondo grado sta nel correlare l’ammontare delle spese di soccombenza, oltre che di Ctu e Ctp, alla stessa misura delle spese di resistenza nel caso liquidabile come oggetto di manleva assicurativa.

Obbligo contrattuale. L’obbligo di rimborso delle spese di lite a carico dell’assicurazione sorge direttamente dal contratto soltanto perché l’assicurato è stato costretto ad affrontare una controversia per una questione che rientra nella garanzia della polizza; il tutto a prescindere dal fatto che la compagnia abbia o meno sostenuto il cliente oppure abbia aderito o no alle ragioni dell’assicurato: la manleva scatta nei limiti dell’articolo 1917 Cc. La parola passa al giudice del rinvio.

Dario Ferrara

FONTE:

PROFESSIONISTA – Spese di lite – La Cassazione decide nel merito condannando la Compagnia
CONDOMINIO – DANNI DA INFILTRAZIONI – Ai raggi X

CONDOMINIO – DANNI DA INFILTRAZIONI – Ai raggi X

PER LA CORTE DI APPELLO DI MESSINA RESTA LA RESPONSABILITÀ DA CUSTODIA DELL’AMMINISTRATORE

di Gianfranco Di Rago

Danni da infiltrazioni suddivisi pro quota tra condominio e condomino danneggiato, ove quest’ultimo con il suo comportamento abbia concorso nella causazione dell’evento pregiudizievole. Ferma restando la responsabilità da custodia del condominio, che per mezzo del suo amministratore deve garantire la manutenzione dei beni e dei servizi comuni, occorre quindi indagare anche sulla condotta tenuta dal danneggiato e verificare, caso per caso, se vi sia stato un concorso di colpa. Questo il principio di diritto ricordato dalla Corte di appello di Messina nella recente sentenza n. 460 del 30 giugno 2022, in base alla quale è possibile fare luce sul riparto di responsabilità tra condominio e condomini in caso di infiltrazioni provenienti dalle parti comuni.

Il caso. Era stata impugnata la sentenza con cui il tribunale di Messina, decidendo sulla domanda di risarcimento dei danni subiti da un condomino in conseguenza del versamento di acque reflue nel proprio appartamento, aveva provveduto a un accoglimento parziale della stessa, tenuto conto, da una parte, dell’assenza di un’adeguata e periodica manutenzione dell’impianto da parte del condominio e, dall’altra, dei nuovi lavori di allaccio all’impianto comune fatti eseguire dal condomino. Quest’ultimo si lamentava della decisione di primo grado perché il proprio appartamento era stato danneggiato e la causa impeditiva del regolare deflusso dell’acqua nelle tubazioni di scarico condominiali era stata individuata nella presenza di ammassi solidi di detersivo. Inoltre, anche da un’altra colonna di scarico, sempre condominiale, erano derivate ulteriori infiltrazioni, che avevano danneggiato una parete e parte del soffitto.

Infiltrazioni e responsabilità per danni. Il fenomeno delle infiltrazioni interessa purtroppo numerosi edifici e spesso comporta gravi danni per i proprietari delle unità immobiliari sottostanti. Quando la fuoriuscita di acqua origina da una cattiva manutenzione delle parti comuni, come ribadito dalla Corte di appello di Messina, c’è sicuramente la responsabilità del condominio, in persona del suo amministratore pro tempore, in quanto custode dei beni e dei servizi comuni (muri perimetrali, tubazioni, tetto, ascensore, ecc.). In tale veste l’amministratore è infatti obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno, rispondendo quindi dei danni cagionati alle proprietà esclusive dei condomini. Questa forma di responsabilità extracontrattuale è prevista e disciplinata dall’art. 2051 c.c. e si giustifica proprio in ragione del fatto che in questi casi il danno subito dal singolo è dovuto all’inosservanza da parte del condominio dell’obbligo di provvedere a mantenere in buono stato le parti comuni e a eliminare per tempo quei difetti che possano recare pregiudizio ai comproprietari.

Il condomino danneggiato può ottenere il risarcimento del danno semplicemente provando il pregiudizio subito e il nesso tra quest’ultimo e il bene comune. Il condominio, però, non può essere ritenuto responsabile se il danno al singolo condomino è dipeso da caso fortuito o forza maggiore, da individuarsi in eventi assolutamente imprevisti o imprevedibili o comunque non fronteggiabili con l’ordinaria diligenza, o dal fatto del terzo o dalla colpa, esclusiva o concorrente, del medesimo danneggiato. In ogni caso, qualora non si riesca a individuare la causa effettiva del danno, purché sia accertato che l’infiltrazione deriva dal bene comune, la responsabilità rimane a carico del condominio-custode. Quest’ultima permane anche ove i danni siano imputabili a vizi edificatori dello stabile che possano comportare la concorrente responsabilità del costruttore-venditore, non potendosi equiparare i difetti originari dell’immobile al caso fortuito, che costituisce l’unica causa di esonero da responsabilità del condominio-custode.

La decisione della Corte di appello. I giudici di appello hanno innanzitutto evidenziato che nel caso di specie i danni lamentati dal condomino originavano da due distinte cause: una parte dalla condotta di scarico che proveniva dai piani superiori e, attraversando il tetto della camera da letto, scendeva lungo la parete del medesimo vano, per poi immettersi della tubazione di scarico principale dell’abitazione; un’altra parte dalla condotta di scarico, sempre proveniente dai piani superiori, che, scendendo lungo la parte sud del salone, proseguiva attraversando orizzontalmente l’appartamento, per poi confluire in un pozzetto di raccolta esterno. Ebbene, quanto alla prima parte di danni, non vi era traccia di un concorso del condomino nella loro causazione. Il tribunale aveva quindi errato nel non ritenere il condominio unico responsabile del pregiudizio economico subito dal proprietario dell’appartamento.

Un discorso diverso doveva invece essere fatto per i danni derivati dalla seconda colonna di scarico, nella quale risultava che il condomino avesse effettuato un nuovo collegamento.

Il consulente tecnico nominato nel corso del giudizio di primo grado aveva ritenuto che le infiltrazioni fossero state l’effetto di cause concorrenti, determinate sia dalla non accentuata pendenza della conduttura, sia dalla realizzazione di un nuovo punto di scarico avvenuta durante i lavori di ristrutturazione dell’appartamento in questione. Il ctu (consulente tecnico d’ufficio) aveva quindi indicato gli interventi necessari a impedire che si verificassero nuovi reflussi delle acque nere, suggerendo una manutenzione annuale delle tubazioni condominiali e l’installazione di una valvola di non ritorno in corrispondenza della braga di raccordo del nuovo scarico realizzato dal condomino. La Corte di appello, pure correggendo sul punto il tribunale, ha evidenziato che le tubazioni comuni possono essere utilizzate da qualsiasi condomino, con il solo limite di non precluderne agli altri il pari uso (art. 1102 c.c.). Tuttavia, come sottolineato dal ctu, il proprietario dell’appartamento danneggiato aveva realizzato male il predetto allaccio, senza tenere conto delle caratteristiche di pendenza del tubo, in quanto avrebbe dovuto applicare una valvola anti-reflusso. Quanto sopra, secondo i giudici di appello, giustificava la decisione del tribunale di ritenere il condomino corresponsabile per questa parte di infiltrazione, in quanto anche la sua condotta aveva concorso alla causazione dell’evento pregiudizievole.

Quando il condominio è responsabile. In conclusione, si può quindi dire che il condominio può essere chiamato a rispondere dei danni subiti dal singolo condomino in presenza di infiltrazioni dovute all’inidoneità o all’omessa manutenzione o ristrutturazione dei muri perimetrali o delle coperture comuni, gravando sul primo, in qualità di custode dei beni comuni, l’obbligo di mantenerli e conservarli in maniera tale da evitare pregiudizi. Allo stesso modo il condominio è responsabile per le conseguenze dell’insufficiente isolamento termico del sottotetto (quando il condomino sottostante lamenti la presenza nel proprio appartamento di temperature elevatissime durante il periodo estivo e rilevanti abbassamenti delle stesse durante il periodo invernale) o, come nel caso in questione, per la fuoriuscita di acque nere nelle unità immobiliari di proprietà esclusiva provenienti dalle tubazioni fognarie a seguito dell’occlusione delle stesse. Non si può però parlare di esclusiva responsabilità da custodia del condominio in ordine ai danni prodotti al singolo condomino delle tubazioni di scarico delle acque nere se, come avvenuto nel caso di specie, il danno è stato causato anche dalla concorrente condotta colpevole del danneggiato.

FONTE:

I 20 PRINCIPALI ASSICURATORI CYBER USA – hanno registrato una crescita dei premi nel 2021

Dei circa 4,8 miliardi di dollari di premi cyber sottoscritti nel 2021 dal settore property & casualty (P&C), oltre l’81% proviene dai primi 20 assicuratori cyber del mercato statunitense, guidati dall’assicuratore globale Chubb.

Sulla base dei dati di AM Best, Reinsurance News ha stilato la classifica dei primi 20 assicuratori cyber statunitensi in base al totale dei premi diretti sottoscritti nelle assicurazioni cyber standalone e pacchetti del 2021.

Complessivamente, i primi 20 assicuratori cyber statunitensi rappresentano oltre 3,9 miliardi di dollari di premi diretti sottoscritti nel 2021.

Come nel 2020, Chubb è in cima alla lista con una raccolta 2021 di 473,1 milioni di dollari, con una crescita annua di quasi il 10% e una quota di mercato del 9,9%.

Fairfax è passata dall’ottavo posto della classifica nel 2020 al secondo nel 2021 con un 436,4 milioni di dollari, in crescita di oltre il 302% rispetto all’anno precedente, con una quota di mercato del 9,1%.

AXA XL, in terza posizione, è scesa di un posto con 421 milioni di dollari, che tuttavia rappresenta una crescita di quasi il 44% rispetto all’anno precedente, con una quota di mercato dell’8,8% alla fine del 2021.

Al quarto posto si trova Tokyo Marine US con 249,8 milioni di dollari, grazie a un’impressionante crescita del 189%, che le consente di raggiungere una quota di mercato superiore al 5%.

AIG è passata dal terzo posto nel 2020 al quinto nel 2021 con 240,6 milioni di dollari, sostenuto da una crescita di oltre il 5%, che ha permesso all’assicuratore di chiudere il 2021 con una quota di mercato del 5%.

Il resto della top 10 comprende, nell’ordine: Travelers con 232,2 milioni di dollari; Beazley USA con una raccolta di 200,9 milioni di dollari; CNA Insurance (181,4 milioni di dollari); Arch Insurance con 171,2 milioni di dollari e AXIS US con 159,1 milioni di dollari.

Per quanto riguarda i riassicuratori, Munich Re US e Swiss Re Group si trovano rispettivamente al 16° e al 17° posto. Con una raccolta di 120 milioni di dollari nel 2021, grazie a una crescita sostanziale del 572% su base annua, Munich Re US è passata dal 25° posto del 2020.

Anche Swiss Re ha registrato una crescita impressionante del 339%, a 103,8 milioni di dollari nel 2021, salendo dal 20° posto del 2020.

Nessuno dei 20 principali assicuratori cyber statunitensi ha registrato un calo della raccolta nel 2021 rispetto all’anno precedente, il che riflette l’irrigidimento del mercato.

Secondo il broker assicurativo e riassicurativo Aon, i premi assicurativi statunitensi per il cyber segnalati al NAIC sono aumentati del 76% nel 2021.

Il mercato globale del cyber è destinato a crescere rapidamente nei mesi e negli anni a venire e, con l’impennata dei prezzi dovuta alla contrazione dell’offerta di copertura che non riesce a soddisfare la crescente domanda, è considerato una vera opportunità per i vettori.

Ma se da un lato il settore presenta interessanti opportunità di crescita, dall’altro mancano ancora esperienza e dati, e si ritiene che sia necessario fare di più per comprendere appieno i rischi associati al cyber.

Un approccio prudente da parte di molti ha creato uno squilibrio tra domanda e offerta nel settore cyber, con i riassicuratori attualmente riluttanti a soddisfare la crescente domanda di protezione dal rischio cyber.

FONTE:

I 20 PRINCIPALI ASSICURATORI CYBER USA – hanno registrato una crescita dei premi nel 2021
INFLAZIONE E TARIFFE ASSICURATIVE – Chi ne pagherà i costi?

INFLAZIONE E TARIFFE ASSICURATIVE – Chi ne pagherà i costi?

Inflazione e tariffe assicurative: chi ne pagherà i costi? L’aumento dei costi dei fattori produttivi determinerà un aumento dei prezzi delle polizze? Oppure dovrà essere assorbito dalle compagnie per effetto dell’evoluzione dell’offerta assicurativa e del calo della domanda? Per gli intermediari un’occasione per valutare il reale livello di copertura delle imprese.

Il fenomeno inflattivo, con ogni probabilità, non sarà di breve durata. L’inflazione, favorita dalla ripresa della domanda globale dopo i due anni della pandemia, si è manifestata con l’impennata dei prezzi di materie prime e semilavorati che si sono riflessi poi sui beni e servizi. In ambito assicurativo, nel settore auto i prezzi dei ricambi hanno subito aumenti a due cifre. Come da più fonti ipotizzato, è un fenomeno che, se protratto nel tempo, potrebbe portare a rialzi delle tariffe assicurative anche del 7%. Con previsioni del 20% nel triennio? Difficile dirlo.

Nell’auto in particolare i pezzi di ricambio costituiscono solo una frazione del costo dei sinistri. Inoltre, l’IVASS nella recente Relazione annuale ricorda che le tariffe in Italia (ancorché quasi dimezzate nell’ultimo decennio) sono ancora superiori a quelle di Germania, Francia e Spagna e le previsioni al netto dell’inflazione sono al ribasso per l’effetto della concorrenza in atto favorita dal dinamismo dell’offerta motor.

Un aumento del costo dei risarcimenti

Se è logico e prevedibile che ci saranno aumenti di costo dei risarcimenti, è altrettanto probabile che per mitigare gli effetti sui bilanci, le compagnie si attivino per efficientare i processi operativi e gestionali delle pratiche risarcitorie. Una trasformazione che porterà ad un’accelerazione da parte degli assicuratori di procedure che almeno in parte ridurranno gli effetti dell’aumento dei costi della gestione e dei sinistri. È possibile, inoltre, che un’eventuale recessione e l’aumento del costo dei carburanti avranno un effetto sulla frequenza dei sinistri. Certamente per gli assicuratori l’inflazione costituisce uno dei principali rischi gestionali: essa influisce negativamente, in particolare, sul rendimento degli investimenti. In uno scenario di elevata e perdurante inflazione gli assicuratori potrebbero altresì essere costretti ad accantonare riserve aggiuntive a fronte di sinistri passati, come nel caso della medical malpractice. Lo rilevava un numero di Sigma già nel 2010, studio che Swiss Re aveva dedicato all’inflazione, sostenendo che per gli assicuratori danni l’inflazione è causa di un costo dei sinistri più elevato e, dunque, l’adeguamento dei premi è possibile, ma, come appunto afferma lo studio stesso, non sempre si realizza a causa dei vincoli concorrenziali e regolamentari.

Adeguare le somme assicurate e i massimali

Piuttosto, ci sembra significativo evidenziare che le aziende industriali e gli operatori commerciali in genere dovranno opportunamente rivedere il valore degli assets, in particolare del valore dei macchinari, che potranno risentire di aumenti nel breve termine, salvo che il contesto economico mondiale non si avvii verso una fase recessiva che potrebbe agire sui prezzi in controtendenza. Non è facile prevedere scenari certi di medio, lungo termine. Sono troppi gli elementi incerti che potrebbero condizionare il contesto finanziario ed economico globale, fra questi soprattutto i sussulti geopolitici in atto, oltre al non improbabile rischio stagflattivo. Nella relazione annuale del 28 giugno scorso sull’attività che il Presidente dell’IVASS, Signorini, ha espresso una certa preoccupazione per gli effetti sulle compagnie conseguenti all’evoluzione delle condizioni economico-finanziarie e all’accentuarsi dei rischi, raccomandando un rafforzamento delle strategie di risk management delle imprese assicurative e ritenendo cruciale il buon funzionamento dei presidi di governance. Altresì, il Presidente è intervenuto richiamando un’indagine della Banca d’Italia sulle imprese non finanziarie (“Invind”): Il divario tra piccole e grandi imprese nella propensione ad assicurarsi. Il sondaggio è stato condotto su più di 3.000 piccole imprese e di seguito ne riportiamo alcuni passaggi significativi: “Tra le imprese piccole e medie, hanno ampia diffusione solo le tradizionali coperture dei danni per incendio e furto e della responsabilità civile verso terzi e dipendenti. Più ampia è la diffusione delle coperture assicurative tra le imprese maggiori”. Signorini sostiene infatti che: “Non vi è un motivo teorico per cui l’assicurazione debba essere in generale più utile per una grande impresa che per una piccola. Da che cosa dipende dunque questa situazione? Dalla domanda, cioè magari da una sottovalutazione dei rischi da parte dei piccoli imprenditori? Forse in parte sì. Ma, se interrogati sui motivi della mancata assicurazione, gli imprenditori mettono in evidenza una percezione di premi elevati rispetto al danno atteso e l’assenza di informazioni adeguate sui contratti. Questi dati suggeriscono l’esistenza di ostacoli da entrambi i lati, domanda (percezione del rischio) e offerta (informazione, chiarezza). Non è un problema esclusivo dell’Italia, ma è qui maggiore che altrove. Sembra esservi spazio, da un lato per un maggiore sviluppo dell’offerta delle compagnie, dall’altro per un più ampio soddisfacimento di bisogni assicurativi latenti”.

Il bisogno di consulenza assicurativa

In sintesi, nelle piccole imprese l’informazione e la sensibilizzazione in chiave di Insurance Risk Management troverebbe un terreno fertile. Emerge quindi che nelle piccole imprese chi rappresenta l’offerta assicurativa (imprese, ma soprattutto gli intermediari) ha spazi enormi per garantire più complete soluzioni assicurative. C’è una domanda di informazione e chiarezza da parte degli assicurati che rimane senza risposta. Spetta alle compagnie ed, in primo luogo, agli intermediari assicurativi cogliere questa richiesta che proviene dalle imprese e attivarsi per colmare il gap di informazione e sensibilizzazione degli imprenditori. Si raggiungerà così l’obiettivo di coprire i rischi la cui offerta è carente (D&O, Rc Prodotti, RC Inquinamento, Loss of Profit, …). Le aziende, certamente, dovranno fare i conti con un aumento dei costi del programma assicurativo annuale, ma a fronte di una maggiore protezione in caso di sinistro. Può essere che l’inflazione determini l’aumento delle tariffe di alcuni rami assicurativi, ma contestualmente il non passeggero fenomeno rappresenta un’opportunità e un dovere per gli stessi assicuratori per analizzare e quantificare, alla luce dei valori attuali, l’adeguatezza delle coperture dei propri clienti. Un’occasione per adeguare le somme assicurate di immobili, attrezzature e merci ai valori reali, evitando così di esporre le imprese al rischio della proporzionale. In questo modo, forse, si realizzeranno aumenti di premi raccolti piuttosto che aumenti di tariffe. Un servizio che gli imprenditori pretendono e un costo che sono ben disposti a pagare a fronte di una maggiore sicurezza. In sintesi, risulteranno resilienti solo gli operatori che per tempo hanno investito in prodotti e processi industriali, soprattutto distributivi, improntati all’efficienza, alla multicanalità, all’innovazione, all’oculatezza imprenditoriale, all’osservazione costante dell’evoluzione del mercato (interno ed estero), sia dal lato della domanda che dell’offerta. Soprattutto le imprese e gli intermediari che avranno saputo applicare alla propria realtà i principi cardine dell’economia politica.

Autore: Mauro Venier
ASSINEWS 345 – ottobre 2022

FONTE:

CONTRATTO DI ASSICURAZIONE – Disdetta di polizza vincolata a banca tramite PEC

Un cliente azienda ha inviato regolare pec per disdire una polizza incendio vincolata a due istituti di credito. L’agenzia, una volta ricevuta la disdetta, informa tramite pec il cliente che la stessa sarà ritenuta valida solo se entro il giorno di scadenza del contratto perverranno gli svincoli da parte delle banche.

Il cliente consegna agli istituti di credito nuova polizza con relativi vincoli giorni prima della scadenza del contratto.

Se le banche non forniscono le lettere di svincolo entro la data di scadenza della polizza che è stata disdettata, ma le forniscono successivamente dichiarando che il contratto viene svincolato a far data dal … ( giorno della scadenza), può l’agenzia/ la compagnia obbligare la ditta cliente al pagamento della polizza?

Il cliente consegna agli istituti di credito nuova polizza con relativi vincoli giorni prima della scadenza del contratto.

Se le banche non forniscono le lettere di svincolo entro la data di scadenza della polizza che è stata disdettata, ma le forniscono successivamente dichiarando che il contratto viene svincolato a far data dal … ( giorno della scadenza), può l’agenzia / la compagnia obbligare la ditta cliente al pagamento della polizza?

ESPERTO RISPONDE

La disdetta di una polizza effettuata nei termini contrattuali fa venir meno l’obbligo di rinnovo.

La clausola che fa restare vivo il contratto in assenza di svincolo da parte del beneficiario trova giustificazione nel fatto che, senza svincolo, l’alea permane in capo alla compagnia assicuratrice, che – in caso di sinistro – potrebbe vedersi richiedere il risarcimento.

Nel caso in esame, però, la garanzia in favore della banca è stata prestata ed assicurata da polizza di altra compagnia (in sostituzione della precedente) che, in caso di sinistro, risponderebbe dei relativi danni.

Da ciò discende che l’alea, per la precedente compagnia, è venuta meno con la sostituzione della polizza, con la conseguente mancanza di causa per la richiesta di premio.

Ciò è anche confermato dalla dichiarazione di svincolo da parte della banca, con efficacia dalla data di scadenza.

Pertanto, la compagnia non può obbligare il cliente al pagamento del premio in quanto non c’è alcuna giustificazione a causa dell’assenza di rischio a suo carico dopo la scadenza del contratto regolarmente disdettato.

FONTE:

CONTRATTO DI ASSICURAZIONE – Disdetta di polizza vincolata a banca tramite PEC