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Category: Rassegna Stampa

CESSIONE QUOTE AZIENDA E CAMBIO DI DENOMINAZIONE

CESSIONE QUOTE AZIENDA E CAMBIO DI DENOMINAZIONE

Il cliente invia disdetta del contratto del suo locale ad una compagnia di assicurazione. La polizza scade il 15 settembre e il 26 giugno invia disdetta nei tempi previsti dal contratto. La denominazione della ditta nel frattempo cambia per una cessione di quote, ma la partita iva rimane la stessa. La compagnia rifiuta la disdetta e chiede visura camerale e carta identità del titolare che non è più lo stesso in quanto c’è stata una cessione di quote. Ora se la partita iva è la stessa il nuovo proprietario può disdire la polizza. Allego documentazione a supporto per una valutazione del caso. La direzione della compagnia non ha più risposto all’integrazione dei documenti inviati a supporto della disdetta mentre l’agenzia ci scrive: “Buongiorno, ci siamo confrontati con chi di competenza e confermiamo che la disdetta non può essere accettata in quanto il mittente della stessa non corrisponde al contraente della polizza, pertanto la disdetta doveva esser inviata prima della cessione delle quote dal sig. M. per conto della “… e c. snc”. Confermiamo quindi che il cliente ha l’obbligo del rinnovo“.
Vuoi vedere che doveva inviare la disdetta con una ditta cessata?

L’ESPERTO RISPONDE 

Dall’esame delle documentazione inviata è emerso che trattasi di polizza stipulata a garanzia dei beni di proprietà dell’attività commerciale compravenduta e pertanto ci si trova di fronte alla fattispecie di alienazione delle cose assicurate di cui all’articolo 1918 del codice civile, che così recita: “Art. 1918 – Alienazione delle cose assicurate. – L’alienazione delle cose assicurate non è causa di scioglimento del contratto di assicurazione. L’assicurato, che non comunica all’assicuratore l’avvenuta alienazione e all’acquirente l’esistenza del contratto di assicurazione, rimane obbligato a pagare i premi che scadono posteriormente alla data dell’alienazione. I diritti e gli obblighi dell’assicurato passano all’acquirente, se questi, avuta notizia dell’esistenza del contratto di assicurazione, entro dieci giorni dalla scadenza del primo premio successivo all’alienazione, non dichiara all’assicuratore, mediante raccomandata, che non intende subentrare nel contratto. Spettano in tal caso all’assicuratore i premi relativi al periodo di assicurazione in corso. L’assicuratore, entro dieci giorni da quello in cui ha avuto notizia dell’avvenuta alienazione, può recedere dal contratto, con preavviso di quindici giorni, che può essere dato anche mediante raccomandata. Se è stata emessa una polizza all’ordine o al portatore, nessuna notizia dell’alienazione deve essere data all’assicuratore, e così quest’ultimo come l’acquirente non possono recedere dal contratto”. 

In questo caso – prescindendo da ogni altra opinabile eccezione sollevata dalla compagnia – la “disdetta” deve comunque essere equiparata alla comunicazione “all’assicuratore” dell’avvenuta alienazione e pertanto nei confronti del vecchio acquirente il contratto dovrà ritenersi risolto ed al massimo la compagnia assicuratrice potrà chiedere all’acquirente se intenda subentrare nel contratto assicurativo in questione.

FONTE:

CONDOTTA PERICOLOSA DEL PEDONE – Supera la presunzione di colpa del conducente investitore

GIURISPRUDENZA

Autori: Ginevra Begani e Matteo Schiavone

La Corte di Cassazione, sezione VI civile, con l’ordinanza n.26873/22, depositata in data 13 settembre 2022, è intervenuta in materia di presunzione di colpa del veicolo investitore prevista dall’art. 2054, comma 1, c.c..

Questa è la vicenda che ha dato origine alla pronuncia in esame.

Il Ricorrente, che si trovava a piedi, su strada extraurbana, in orario notturno e in assenza di illuminazione, fu investito da una automobile.

Il Danneggiato, quindi, aveva agito innanzi al Tribunale per sentire condannare il proprietario del veicolo, responsabile civile, che ebbe ad investirlo, in solido con la propria Compagnia di Assicurazione per la RCA, al risarcimento di tutti i danni subiti a causa del sinistro in parola.

Il Tribunale adito aveva rigettato la domanda, “disapplicando” la presunzione di responsabilità esclusiva a carico del conducente dell’automobile, individuando nella condotta del Ricorrente “pedone” la sola causa del sinistro.

Anche la Corte d’Appello aveva respinto la domanda riproposta in secondo grado.

Il Danneggiato si era, quindi, rivolto alla Suprema Corte, formulando un solo motivo di ricorso, lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt. 2054, 1227, 2697, comma 1, c.c., degli artt. 140 e 141 C.D.S., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., “con riferimento alla selezione e alla valutazione delle prove nella ricostruzione dei fatti”.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

A differenza di quanto affermato dal ricorrente, ad avviso degli Ermellini, non vale richiamarsi al principio secondo cui: “stante la presunzione del 100% di colpa in capo al conducente del veicolo di cui all’art. 2054, comma 1, c.c., ai fini della valutazione e quantificazione di un concorso del pedone investito occorre accertare, in concreto, la sua percentuale di colpa e ridurre progressivamente quella presunta a carico del conducente” (così, da ultimo, Cass. Sez. 6- 3, ord. 28 gennaio 2019, n. 2241, Rv. 652291-01)”.

Per i Giudici di legittimità: “la presunzione di colpa del conducente di un veicolo investitore, prevista dall’art. 2054, comma 1, c.c., non opera in contrasto con il principio della responsabilità per fatto illecito, fondata sul rapporto di causalità fra evento dannoso e condotta umana, e, dunque, non preclude, anche nel caso in cui il conducente non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione, l’indagine sull’imprudenza e pericolosità della condotta del pedone investito, che va apprezzata ai fini del concorso di colpa, ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., ed integra un giudizio di fatto che, come tale, si sottrae al sindacato di legittimità se sorretto da adeguata motivazione (Cass. Sez. 3, ord. 17 gennaio 2020, n. 842, Rv. 656632-01)”.

La Suprema Corte ha spiegato come la Corte d’Appello avesse correttamente valorizzato la presenza del pedone, di notte, su una strada extraurbana, priva di illuminazione, – condotta che, peraltro, viola l’art. 175, comma 6, C.D.S. “divieto di circolazione dei pedoni su strade extraurbane”, con la conseguenza che la sentenza impugnata è priva “di profili di manifesta illogicità o irriducibile contraddittorietà”.

L’ordinanza de qua, individua un limite di efficacia della presunzione di colpa dell’automobilista, ulteriore ed autonomo rispetto alla prova di cui è onerato il conducente “di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno”.

Anche se il conducente del veicolo non ha assolto l’onere istruttorio che l’art. 2054, comma 1, c.c. pone a suo carico, quale condizione per il superamento della presunzione di colpa esclusiva a carico dell’automobilista, non è preclusa al Giudice l’indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato, con la conseguenza che, allorquando siano accertate la pericolosità e l’imprudenza della condotta del danneggiato stesso, la colpa di questo concorre, ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., con quella del conducente.

Quindi, l’esistenza di prove a dimostrazione della condotta imprudente e pericolosa del pedone, laddove la stessa abbia causato in via esclusiva o concorso a causare il sinistro, determina il superamento della presunzione della colpa esclusiva del conducente del veicolo a motore, come già detto, a prescindere dal fatto che quest’ultimo abbia o meno offerto la prova di avere fatto il possibile per evitare l’incidente.

Tale orientamento manifesta, analogamente a quanto accaduto in tema di art. 2051 c.c. (Cass. civ. Sez. III, Ordinanza, 19.02.2020 n. 4178), la tendenza dei Giudici di legittimità a circoscrivere al massimo le fattispecie di responsabilità oggettiva, tra le quali possiamo annoverare quella attribuita presuntivamente in via esclusiva al conducente, per il solo fatto di trovarsi alla guida di un veicolo a motore, ravvisabile solo laddove non possano applicarsi i principi generali relativi all’individuazione ed alla prova del nesso causale tra condotta ed evento, dei quali l’art. 1227 c.c. è espressione.

FONTE:

CONDOTTA PERICOLOSA DEL PEDONE – Supera la presunzione di colpa del conducente investitore
SMART FACTORY – Sempre più a rischio di subire attacchi informatici

SMART FACTORY – Sempre più a rischio di subire attacchi informatici

I progressi tecnologici hanno reso più efficienti i macchinari legati alla produzione, ma hanno anche messo i costruttori e gli utilizzatori di macchine utensili nel mirino dei cybercriminali. Il dato emerge da “The Security Risks Faced by CNC Machines in Industry 4.0”, l’ultima ricerca Trend Micro, condotto da Marco Balduzzi in collaborazione con Francesco Sortino, Fabio Castello e Leandro Pierguidi di Celada, gruppo italiano internazionale specializzato nella vendita di macchinari per il mondo industriale e servizi di assistenza.

La ricerca affronta i rischi che le macchine a controllo numerico computerizzato (CNC) devono affrontare quando sono integrate in fabbriche connesse alle reti ed è stata condotta su 4 vendor rappresentativi del settore dei controllori numerici, scelti per dimensioni e presenza sul mercato. Celada ha poi messo a disposizione macchine di sua proprietà per i test, alcune ospitate presso il Politecnico di Milano.

Le macchine a controllo numerico computerizzato (CNC) sono un punto fermo delle fabbriche e consentono alle aziende manifatturiere di produrre in serie prodotti complessi, con grande precisione e velocità.

Quando sono connesse, sono però esposte a nuove e potenziali minacce che possono coprire una vasta gamma di scenari di attacco, tra cui:

  • Attacchi che possono causare danni
    I cybercriminali potrebbero manomettere lo stato di configurazione interna o i parametri di una macchina CNC per influenzare il comportamento della macchina e danneggiare la macchina stessa, le sue parti o ciò che viene prodotto
  • Attacchi Denial-of-Service
    I criminali informatici che vogliono sabotare un sito di produzione potrebbero compiere attacchi con l’obiettivo di ostacolarne le operazioni alterando le funzionalità di una macchina CNC, come il suo sistema di gestione degli strumenti, o attivando allarmi. È anche possibile bloccare una macchina CNC con un ransomware per poi chiedere un riscatto
  • Hijacking
    Gli aggressori potrebbero alterare i parametri di compensazione degli strumenti di una macchina CNC o manipolare la logica dei programmi parametrici per introdurre micro-difetti e creare parti difettose o componenti di interesse specifico per azioni criminali
  • Furto di dati
    I cybercriminali potrebbero utilizzare in modo improprio protocolli e funzionalità di rete per esfiltrare codice di programma o informazioni di produzione riservati e scoprire ad esempio come viene prodotto qualcosa, quanti pezzi vengono prodotti, da chi, con quali tempistiche etc. Ovvero, spiare l’intera produzione

FONTE:

CESSAZIONE DEL RISCHIO O ALIENAZIONE DEI BENI?

Autore: Michele Borsoi

Premessa

Se un’impresa vende dei propri beni assicurati, come ad esempio un fabbricato, si deve far rientrare questo caso nella fattispecie di alienazione di cose assicurate.

A seguito di questa operazione, non è infrequente assistere a comunicazioni del contraente all’assicuratore che invoca la cessazione del rischio, oltre che la restituzione dei premi pagati relativi al periodo residuo di copertura non goduta.

La cessazione del rischio

La vendita di un bene assicurato non è motivo per invocare la cessazione del rischio assicurato e tantomeno sussiste un diritto alla restituzione del premio pagato e non goduto.

L’articolo 1896 del codice civile, che disciplina i casi di cessazione del rischio durante l’assicurazione, prevede lo scioglimento del contratto se il rischio cessa di esistere dopo la conclusione del contratto.

Un caso di cessazione del rischio potrebbe sussistere nel caso di merci assicurate contro il rischio di furto che vengono distrutte da un incendio. In questo caso, il contraente della polizza furto dovrà comunicare al proprio assicuratore la cessazione del rischio (i beni sono stati bruciati) se intende liberarsi dall’obbligo del pagamento dei premi successivi. Nonostante la comunicazione, i premi già pagati restano nella disponibilità dell’assicuratore, che non deve restituire alcunché al contraente.

La non restituzione del premio pagato, ma non goduto, trova fondamento tecnico economico nel principio dell’indivisibilità del premio, in quanto detto premio non può essere calcolato momento per momento, ma dev’essere calcolato per l’intera durata del periodo assicurativo costituente il riferimento dell’indagine statistica.

Il trasferimento di azienda

Prima di esaminare il caso dell’alienazione dei beni assicurati, soffermiamoci su una diversa circostanza legata al caso di trasferimento dell’azienda.

In questa fattispecie, ogni eventuale contratto che sia stato stipulato dal venditore, in relazione ai rischi inerenti all’esercizio aziendale, resta soggetto alla disciplina dettata dall’articolo 2558 del codice civile, in tema di successione dell’acquirente nei contratti stipulati dall’alienante.

Pertanto, verificatosi il subingresso del compratore nel contratto assicurativo, salvo non esista tra le parti una diversa pattuizione con le clausole del trasferimento, ai sensi del comma 1 del citato articolo 2558 del codice civile, il recesso dal contratto stesso può essere riconosciuto soltanto all’assicuratore, ai sensi ed alle condizioni del secondo comma della medesima norma, ma non anche all’assicurato.

Quindi, un eventuale contratto di responsabilità civile dell’azienda passa in capo all’acquirente, che sarà obbligato nel contratto, salvo diversa pattuizione tra le parti e salvo il diritto dell’assicuratore di recedere entro tre mesi dalla notizia del trasferimento.

L’alienazione dei beni

La fattispecie dell’alienazione dei beni assicurati è tema disciplinato in modo mirabile dall’articolo 1918 del codice civile.

L’alienazione delle cose assicurate non è causa di scioglimento del contratto di assicurazione.

Il contraente, se non vuole essere obbligato al pagamento successivo dei premi, deve comunicare all’assicuratore l’avvenuta alienazione dei beni e contemporaneamente deve comunicare all’acquirente l’esistenza del contratto di assicurazione.

Non ottemperare a questa duplice disposizione obbligherà il venditore del bene a pagare anche i premi che scadono posteriormente alla data dell’alienazione.

Con l’alienazione del bene, i diritti e gli obblighi dell’assicurato passano quindi all’acquirente se questi, avuta notizia dell’esistenza del contratto di assicurazione, entro dieci giorni dalla scadenza del primo premio successivo all’alienazione non dichiara all’assicuratore, mediante raccomandata, che non intende subentrare nel contratto.

L’assicuratore, entro dieci giorni da quello in cui ha avuto notizia dell’avvenuta alienazione, può recedere dal contratto con preavviso di quindici giorni, che può essere dato anche mediante raccomandata.

Quindi l’acquirente può, una volta avvertito dal contraente, decidere se accettare o meno il subentro e l’assicuratore, anch’egli avvertito dal contraente, decidere se conservare o recedere il contratto.

Spettano, in tal caso, all’assicuratore i premi relativi al periodo di assicurazione in corso; i premi non vengono infatti rimborsati, in quanto il contratto mantiene comunque la sua validità ed, in caso di sinistro, l’assicuratore è comunque obbligato all’indennizzo.

Non rientrano nella predetta fattispecie le polizze al portatore.

FONTE:

CESSAZIONE DEL RISCHIO O ALIENAZIONE DEI BENI?
CALAMITA’ ED EVENTI NATURALI – Esposizione del mercato italiano per imprese e famiglie

CALAMITA’ ED EVENTI NATURALI – Esposizione del mercato italiano per imprese e famiglie

ASSICURAZIONE DANNI

ANIA ha pubblicato un’interessante statistica sulla diffusione delle coperture per calamità naturali nelle famiglie e imprese negli ultimi 3 anni

A cura della Redazione Assinews
ASSINEWS 346 – novembre 2022

Per contribuire a individuare e sviluppare interventi specifici per ridurre la sottoassicurazione in particolari segmenti assicurativi, ANIA ha avviato una rilevazione statistica per valutare il grado di diffusione delle coperture per le principali calamità naturali, distintamente per le abitazioni civili e per le imprese ubicate sul territorio nazionale, relativamente agli ultimi tre anni.

La statistica ha riguardato i rischi associati alle catastrofi e calamità naturali e al rischio incendio nel suo complesso, con il dettaglio, per quest’ultimo, delle informazioni relative alla sinistrosità per i cosiddetti “grandi incendi” ossia per quegli eventi catastrofali man-made che coinvolgono contemporaneamente più unità di rischio.

Le garanzie oggetto di rilevazione sono state: terremoto, alluvione, incendio, grandi incendi e altri eventi naturali in cui confluiscono tutte le altre calamità naturali quali la grandine, il vento forte, l’eccesso di pioggia o di neve. Il monitoraggio ha riguardato il numero delle polizze, i relativi premi e i valori assicurati, oltre alla sinistrosità (importo e numero dei sinistri) per ciascuna tipologia di rischio.

Le informazioni riguardanti le abitazioni civili sono state rilevate separatamente per:

• Abitazioni individuali: tutte le abitazioni ad uso civile assicurate singolarmente attraverso polizze individuali;

• Globali fabbricati: gli edifici o porzione di edifici, destinati prevalentemente a uso abitativo, assicurati attraverso polizze “globali fabbricati”.

Le informazioni riguardanti le imprese sono state rilevate separatamente per:

• Imprese Grandi: imprese con almeno 250 dipendenti o, in alternativa, con un fatturato annuo superiore a 50 milioni;

• Imprese Medie: imprese con un numero di dipendenti compreso tra 50 e 249 o, in alternativa, con un fatturato annuo superiore ai 10 milioni e inferiore o uguale a 50 milioni;

• Imprese Piccole: imprese con un numero di dipendenti compreso tra 10 e 49 o, in alternativa, con un fatturato annuo superiore ai 2 milioni e inferiore o uguale a 10 milioni;

• Imprese Micro: imprese con un numero di dipendenti inferiore a 10 o, in alternativa, con un fatturato annuo inferiore ai 2 milioni.

Le attività commerciali (incluse quelle delle catene commerciali) sono state ricomprese in una delle categorie di impresa precedenti in base al criterio dei dipendenti o del fatturato.

Alla rilevazione, al momento della redazione del testo, ha aderito un campione di imprese, nazionali ed estere, sufficientemente rappresentativo (oltre il 50% del totale dei premi incendio per l’anno 2021).

Per valutare la robustezza del campione e dare affidabilità ai risultati, si è effettuato un confronto tra alcuni indicatori provenienti da questa rilevazione e quelli desumibili da altre statistiche ufficiali interne o esterne ad ANIA.

In particolare, l’Associazione delle imprese ha osservato che:

• in termini di premi, l’ammontare di quelli rilevati per singola impresa è coerente con quanto riportato dalle stesse nella reportistica di vigilanza per il ramo incendio (1) , tenendo conto che nel ramo confluiscono, pur con un peso contenuto, anche dei rischi diversi da quelli oggetto della presente rilevazione (1.400 milioni i premi contabilizzati nel 2021 dal campione secondo i dati del modulo n.17 e 1.393 milioni quelli ricavabili dalla presente rilevazione);

• in termini di sinistrosità, il loss ratio complessivo, considerando tutte le garanzie rilevate per entrambe le tipologie di rischio (imprese e abitazioni) è coerente con quanto ricavabile dalla reportistica di vigilanza per il ramo incendio(2) (67% il loss ratio di generazione corrente del campione nel 2021 secondo i dati del modulo n.17 e 65% quello ricavabile dalla presente rilevazione);

• per quanto riguarda le abitazioni, i valori assicurati medi delle polizze a copertura delle singole abitazioni e di quelle a copertura dei fabbricati sono coerenti con quelli che risultavano dall’indagine ANIA sulle polizze incendio delle abitazioni civili che copre la quasi totalità del mercato assicurativo (185 mila e 1,480 milioni rispettivamente per abitazioni e fabbricati i valori assicurati medi nel 2021 secondo i dati dell’indagine ANIA sulle polizze incendio delle abitazioni civili e 207 mila e 1,451 milioni quelli ricavabili dalla presente rilevazione);

• sempre relativamente alle abitazioni, nel 2021 l’incidenza delle polizze che presentavano un’estensione alle calamità naturali (considerando sia le polizze a copertura di abitazioni singole sia quelle a copertura di fabbricati) è risultata coerente con il valore che risultava dall’indagine ANIA sulle polizze incendio delle abitazioni civili (11% l’incidenza delle polizze con estensione alle calamità naturali secondo i dati dell’indagine ANIA e 9% quella ricavabile dalla presente rilevazione). Sulla base dei dati ottenuti, ancorché campionari, è stata elaborata una prima stima dei principali indicatori tecnici per l’intero mercato. Di seguito un’anticipazione dei risultati più importanti(3) .

Imprese

La statistica ha riguardato le singole ubicazioni di rischio assicurate nell’ambito della stessa impresa. Questo comporta che, in particolar modo per le imprese grandi e medie, il numero di ubicazioni assicurate risulta superiore rispetto al numero delle imprese distinte per classi di addetti così come rilevate anche da ISTAT. Tuttavia, l’Istituto di statistica rileva anche le unità locali delle imprese attive(4) che, benché non direttamente utilizzabili per la determinazione della penetrazione assicurativa, sono quanto di più vicino al concetto di ubicazione assicurata.

Nella tavola 7 sono messe a confronto per l’anno 2021 la distribuzione, per dimensione di impresa, delle ubicazioni assicurate rilevate dalla statistica e quelle delle unità locali ISTAT.

Come si può osservare, i dati assicurativi mostrano una distribuzione sbilanciata sulle imprese grandi, medie e piccole non riscontrabile con quella dell’Istat che evidenzia invece che la quasi totalità delle unità locali sono relative a imprese micro (con meno di dieci addetti) e questo è sicuramente dovuto a una penetrazione assicurativa molto più elevata per le imprese con più di dieci addetti rispetto a quelle micro.

I valori assicurati medi sono proporzionali alla dimensione dell’impresa: si passa da quasi 5,5 milioni per le imprese grandi, a circa la metà (2,8 milioni) per le imprese medie, a 750 mila per le imprese piccole fino ad arrivare a meno di 400 mila per le imprese micro.

Altra informazione importante che è stato possibile desumere dalla rilevazione (tavola 8) è l’incidenza di quante ubicazioni assicurate presentano un’estensione alle garanzie per gli eventi naturali oltre alla garanzia incendio.

Il dato più evidente è che l’estensione agli altri eventi naturali (grandine, vento forte, eccesso di pioggia o di neve) è quasi sempre presente per tutte le tipologie di imprese, mentre l’informazione più importante è che l’estensione al terremoto e alle alluvioni viene stipulata da quasi la totalità delle imprese grandi, da circa i due terzi delle imprese medie, un terzo di quelle piccole e una percentuale molto trascurabile per le imprese micro (8% per il terremoto e solo il 3% per le alluvioni).

Nella tavola 9 sono riportati, sempre per l’anno 2021, il rapporto tra l’importo dei sinistri(4) con seguito (comprensivo dei sinistri tardivi denunciati) osservato a tutto il mese di aprile 2022 e i premi di competenza dell’anno. L’estensione al terremoto presenta un loss ratio complessivo prossimo allo zero e questo è compatibile con i tempi di ritorno che presenta questo tipo di rischio catastrofale, caratterizzato da periodi più o meno lunghi di assenza di sinistri, ma con intensità di danno elevatissime in caso di evento.

L’estensione alle alluvioni presente un loss ratio medio del 50,6%, con valori compresi tra 15% delle imprese piccole e il 66% delle imprese grandi, che sono poi, come visto, anche quelle più assicurate.

Valori molto elevati si rilevano invece per l’estensione agli altri eventi naturali, che come già osservato, è quasi sempre sottoscritta da tutte le imprese che si assicurano per l’incendio; i valori passano dal 94% delle imprese micro fino ad arrivare a oltre il 200% per le imprese grandi.

La garanzia di base a copertura dell’incendio presenta invece, a livello complessivo, un loss ratio pari a circa il 68% e valori analoghi si riscontrano per il totale di tutte le garanzie. Tenendo conto che le spese di gestione per questo ramo costituiscono quasi il 35% dei premi, si arriva a un combined ratio (somma dei due indicatori) superiore al 100% evidenziando risultati negativi per questo tipo di business (nonostante la garanzia terremoto nel 2021 non abbia registrato sinistri importanti).

Abitazioni

Per quanto riguarda le abitazioni, si commentano qui solamente i risultati relativi al loss ratio per l’anno 2021, dal momento che informazioni più approfondite riguardanti i rischi possono essere desunte dall’indagine ANIA relativa alle abitazioni civili ad uso abitativo. Anche per le abitazioni (tavola 10), l’estensione al terremoto presenta un loss ratio complessivo molto contenuto (l’1,1%) e questo per le motivazioni già precedentemente illustrate.

L’estensione alle alluvioni evidenzia un loss ratio medio del 94%, con un valore ampiamente superiore al 100% per le abitazioni singole mentre non supera il 28% per i fabbricati. Un valore pari all’82,9% si registra per l’estensione agli altri eventi naturali delle abitazioni, più limitato e pari al 56% il loss ratio per i fabbricati. Se per le estensioni ai diversi eventi naturali sono sempre le abitazioni a mostrare un andamento peggiore, per quanto riguarda la garanzia base a copertura dell’incendio si registra invece l’andamento opposto: a livello complessivo il loss ratio è risultato pari al 58,5% con i fabbricati che si attestano ad un valore superiore al 72% mentre le abitazioni si fermano a meno del 50%. Mettendo insieme tutte le estensioni con la garanzia base si ottiene mediamente un loss ratio di poco superiore al 60%.

 

 

 

 


1 Si fa riferimento ai premi contabilizzati voce n.3 reperibili dal modulo n.17 del ramo incendio della reportistica di vigilanza IVASS.
2 Si fa riferimento al rapporto tra l’importo dei sinistri dell’esercizio voce n. 10 e i premi contabilizzati voce n. 3 reperibili dal modulo n.17 del ramo incendio della reportistica
di vigilanza IVASS. (10) Si precisa che i risultati qui presentati sono oggetto di revisione quando ulteriori imprese di assicurazione si aggiungeranno alla rilevazione associativa.
3 Per unità locali si intendono impianti operativi o amministrativi e gestionali (laboratorio, officina, stabilimento, magazzino, deposito, ufficio, negozio, filiale, agenzia) ubicati
in luoghi diversi da quello della sede legale, nei quali si esercitano stabilmente una o più attività specifiche tra quelle dell’impresa. L’impresa plurilocalizzata, pertanto, è un’impresa che svolge le proprie attività in più luoghi, ciascuno dei quali costituisce un’unità locale.
4 Sono gli importi pagati e/o riservati dei sinistri e comprendono, oltre alla somma per la liquidazione del danno all’assicurato, unicamente le spese corrisposte al legale di controparte e le spese di giudizio (non sono incluse quindi le cosiddette spese ULAE). In presenza di franchigia, l’importo dei sinistri è stato considerato al netto della franchigia stessa.

FONTE:

RC AUTO – Ultrattività della copertura assicurativa per le garanzie accessorie auto.

L’estensione della garanzia RCA per i 15 giorni c.d. “di comporto”, vale anche per le garanzie accessorie? Ipotizziamo che un cliente abbia una polizza auto, comprensiva di RCA e di furto e incendio che scade al 31.12 . Se il 5.1 ha un incidente, è coperto. Ma se ad esempio gli rubano la macchina il 13.1, la garanzia è valida? La compagnia lo deve risarcire?

L’ESPERTO RISPONDE

L’articolo 170 bis del codice delle assicurazioni, introdotto in detto codice dall’art. 22, comma 1, del D.l. n. 179 del 18 Ottobre 2012, così prevedeva: Art. 170-bis. – (Durata del contratto)

Il contratto di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti ha durata annuale o, su richiesta dell’assicurato, di anno più frazione, si risolve automaticamente alla sua scadenza naturale e non può essere tacitamente rinnovato, in deroga all’articolo 1899, primo e secondo comma, del codice civile. L’impresa di assicurazione è tenuta ad avvisare il contraente della scadenza del contratto con preavviso di almeno trenta giorni e a mantenere operante, non oltre il quindicesimo giorno successivo alla scadenza del contratto, la garanzia prestata con il precedente contratto assicurativo fino all’effetto della nuova polizza.” e pertanto inizialmente l’ ultrattività della copertura assicurativa era limitata alla sola R.C.A. obbligatoria. In questo contesto, evidentemente -nel caso di unico contratto di assicurazione della R.C..A. obbligatoria contenente anche l’ assicurazione dei rischi C.V.T.- le compagnie eccepivano che detta ultrattività doveva ritenersi operante per la sola R.C.A. obbligatoria e non anche per i rischi accessori presenti in polizza.

Successivamente, con la Legge n. 124 del 4 Agosto 2017, fu previsto – al comma 25 dell’ articolo 1 – l’inserimento al citato articolo 170 bis del Codice delle assicurazioni del comma 1-bis, che così dispone: “1-bis. La risoluzione di cui al comma 1 si applica anche alle assicurazioni dei rischi accessori al rischio principale della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli, qualora lo stesso contratto, ovvero un altro contratto stipulato contestualmente, garantisca simultaneamente sia il rischio principale sia i rischi accessori“.

Evidentemente, quindi, in caso di furto o incendio dell’autovettura assicurata, accaduto nei 15 giorni di ultrattività previsti dalla legge, anche la garanzia assicurativa per detti rischi accessori dovrà intendersi operante.

FONTE:

RC AUTO – Ultrattività della copertura assicurativa per le garanzie accessorie auto.
CYBERSPACE – Incidenti di sicurezza.

CYBERSPACE – Incidenti di sicurezza.

CYBER RISK

Approfondimenti sulla polizza a copertura del cyber risk – Autori: Laura Opilio e Luca Cristini    

Sempre più spesso si sente parlare di spazio cibernetico (c.d. cyberspace), quale luogo dalle caratteristiche a-spaziali e a-temporali, epicentro di una condivisione di dati a livello globale.

Proprio in ragione delle sue caratteristiche, questo spazio presenta elevati rischi, che richiedono coperture assicurative ben calibrate sia in termini di oggetto di copertura sia di risk assessment. Così, la polizza assicurativa di tipo “cyber”, con specifico focus sugli incidenti di sicurezza, rappresenta uno strumento utile per rispondere alle nuove esigenze di tutela contro le minacce informatiche.

In un’ottica generale, la polizza cyber risk punta ad offrire una copertura totale dei rischi collegati alla rete e alle nuove tecnologie, proteggendo gli assicurati dalle responsabilità derivanti da violazione dei dispositivi di sicurezza e da violazione della privacy derivante da perdita o diffusione non autorizzata di dati di terzi.

Prima di esaminare più nel dettaglio la polizza, che (come vedremo) agisce di regola come assicurazione per la responsabilità civile, nonché come assicurazione contro i danni, occorre preliminarmente soffermarci sulle definizioni di “spazio cibernetico” e “rischio cibernetico”, per meglio comprendere il complesso ambito in cui opera la copertura assicurativa.

Lo spazio cibernetico (o cyberspace) viene definito all’interno dell’art. 2 del D.P.C.M. 17 febbraio 2017 (Direttiva recante indirizzi per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica nazionali, G.U. 13/04/2017) quale «l’insieme delle infrastrutture informatiche interconnesse, comprensivo di hardware, software, dati ed utenti, nonché delle relazioni logiche, comunque stabilite, tra di essi».

La stessa disciplina individua poi la “sicurezza cibernetica” in quella «condizione per la quale lo spazio cibernetico risulti protetto grazie all’adozione di idonee misure di sicurezza fisica, logica e procedurale rispetto ad eventi, di natura volontaria o accidentale, consistenti nell’acquisizione e nel trasferimento indebiti di dati, nella loro modifica o distruzione illegittima, ovvero nel controllo indebito, danneggiamento, distruzione o blocco del regolare funzionamento delle reti e dei sistemi informativi o dei loro elementi costitutivi».

Quanto al rischio cibernetico (c.d. cyber risk), questo termine rappresenta una sintesi del tema del rischio all’interno dello spazio cibernetico. Di norma, il cyber risk viene inteso come quel rischio associato alle perdite economiche inflitte dalla mancata disponibilità di integrità di informazioni e/o sistemi informatici propri o di terzi. Nondimeno, anche il rischio cibernetico si articola secondo gli schemi classici del rischio coperto nei rami danni: vale a dire i danni al patrimonio, i danni alle cose e i danni alle persone.

Ed è a partire da questi schemi classici che si articola la stessa domanda e offerta assicurativa, in cui: il cyberspace viene individuato nel network delle infrastrutture della information tecnology, inclusivo delle reti internet, del sistema di telecomunicazioni e dei sistemi informatici più in generale; mentre il cyber risk è quel rischio collegato all’operare all’interno dello spazio informatico, con i suoi pericoli intrinseci associati al trattamento delle informazioni nei sistemi di rete (banche dati, hardwaresoftware), spesso soggetti a criminalità informatica (come per esempio agli attacchi hacker).

Un ambito, quello della polizza cyber risk, che investe quindi il mondo informatico nel suo complesso e che tutela le attività commerciali da tutti i cybercrimes che possono causare ripercussioni per la produttività.

Volendo calare nel caso concreto il cyber risk coperto dalla polizza, si è soliti parlare di “incidente di sicurezza”: vale a dire, in termini generali, un evento che compromette l’integrità, la disponibilità o la riservatezza di sistemi informatici o delle informazioni che detti sistemi elaborano, conservano o trasmettono.

A ben vedere, non esiste né una definizione né una disciplina unitaria di “incidente di sicurezza”, che è invece contenuta in normative di settore, nazionali ed europee (tra queste, la direttiva (UE) 2016/1148 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2016, recante misure per un livello comune elevato di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi nell’Unione).

Senza voler pretendere di avanzarne in questa sede una elencazione della casistica esaustiva, tra i più comuni “incidenti di sicurezza” troviamo: la violazione dei dati personali (c.d. data breach), vale a dire quella violazione di sicurezza che comporta accidentalmente o in modo illecito la distruzione, la perdita, la modifica, la divulgazione non autorizzata o l’accesso ai dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati (art. 4, n. 12, del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, ‘GDPR’); il ransomware (dall’inglese ransom, “riscatto”), vale a dire quel programma informatico dannoso che può “infettare” un qualunque dispositivo digitale, bloccando l’accesso a tutti o ad alcuni dei suoi contenuti (foto, video, file, ecc.) e poi esigendo il pagamento di un riscatto per “liberarli”.

Nel loro verificarsi, gli incidenti di sicurezza possono esporre i soggetti che li subiscono a danni e costi per la difesa derivanti da reclami o azioni di terzi (in particolare gli interessati dal trattamento dei dati personali); a danni alla reputazione e all’immagine, ovvero derivanti da interruzione dell’attività; ai costi per le investigazioni di cybersecurity, consulenza e misure tecniche adeguate a contenere o rimediare alla violazione.

Plurime appaiono quindi le voci di danno che possono scaturire da un medesimo incidente e che devono trovare copertura in una polizza cyber risk.

La minaccia cibernetica, inoltre, può condurre in inganno più di altre, in quanto gli attacchi informatici e gli incidenti di sicurezza che ne possono derivare non sono quasi mai palesi o evidenti; nella maggior parte dei casi, invece, si tratta di infiltrazioni silenti realizzate mediante software malevoli (c.d. malware) che, introdotti nelle reti e nei sistemi, vi permangono per mesi o anni.

È per queste ragioni che la gestione dell’incidente di sicurezza richiede un intervento coordinato da parte di più professionisti, che di regola compongono un panel altamente specializzato offerto dalla società assicurativa che propone la polizza cyber.

Tale polizza comprende, anzitutto, l’intervento di consulenti legali, indispensabili al fine di valutare la natura dell’incidente e il relativo livello di rischio, nonché di comprendere gli obblighi legali applicabili e svolgere i relativi adempimenti (quali, ai sensi dell’art. 33 GDPR, la notifica obbligatoria della violazione entro 72 ore dal momento in cui si è avuta conoscenza dell’evento all’autorità di controllo competente, che in Italia è il Garante per la protezione dei dati personali).

Contestualmente, è senz’altro necessario coinvolgere risorse specializzate in ambito informatico in materia di cybersecurity, al fine di investigare prontamente le caratteristiche tecniche dell’incidente e attuare nel più breve tempo possibile tutte quelle attività finalizzate a comprendere la portata che tale incidente ha avuto nella sicurezza dei sistemi informatici coinvolti e a minimizzarne l’impatto.

L’intervento di altri professionisti può risultare essenziale, specie in relazione a determinate violazioni di sicurezza. Per esempio, qualora l’episodio sia stato reso pubblico, potrebbe risultare indispensabile coinvolgere un’agenzia di comunicazione che predisponga comunicati stampa o analoghe informative connesse all’incidente, al fine di gestirne il relativo impatto mediatico. O ancora, nei sopra descritti casi di ransomware, potrebbe risultare fondamentale l’intervento di consulenti specializzati nella negoziazione del riscatto; si tratta di società con elevata specializzazione tecnica, che entrano in contatto con gli hacker al fine di verificare se la minaccia sia reale e negoziare, appunto, l’importo del riscatto richiesto.

In generale, quindi, le polizze cyber coprono i clienti dalla responsabilità civile in caso di danni a sistemi o apparecchiature tecnologiche. Tuttavia, sono spesso inclusi nella copertura assicurativa anche i danni dovuti ad un’eventuale interruzione di servizio causata dagli attacchi informatici o altre manomissioni ai sistemi, come la perdita di fatturato, e i costi relativi alle lesioni all’immagine e alla credibilità del soggetto che ha subito l’incidente di sicurezza.

A seguito dell’incidente di sicurezza, infatti, le polizze cyber, valutati i danni subiti dall’azienda/professionista coinvolto, offrono una compensazione adeguata. Ma accanto a questa prestazione, i campi di intervento della polizza cyber sono ampi e possono tutelare molteplici conseguenze legate all’incidente verificatosi (come visto, ad esempio, possono rientrare nella copertura della polizza i costi legati al recupero dei dati e alla ripresa delle attività, ma anche eventuali spese legali o perdite di fatturato dovute ai danni informatici).

Il valore assicurato da una polizza cyber è quindi molto variabile, e difficilmente definibile a priori. Di conseguenza, anche i premi assicurativi spaziano tra diversi range, spesso legati a fatturato e dimensioni dell’assicurato.

Ciò che qui rileva, è che l’interesse tutelato nella polizza cyber risk non trova soluzione soltanto nella compensazione del danno, che non può certo essere l’unica risposta, ma anche – e forse soprattutto – in misure di contenimento di tutti quegli effetti dannosi ulteriori prodotti dall’incidente di sicurezza.

Nello specifico, l’assicurato coinvolto in una violazione di sicurezza, notificandola all’assicuratore, potrà attivare un panel di professionisti specializzati che, mediante il coordinamento dei vari settori coinvolti, gestirà ogni aspetto dell’incidente.

Rispetto ad una classica assicurazione per la responsabilità civile, dunque, la polizza cyber risk punta ad offrire una soluzione esaustiva, che non è soltanto di carattere compensativo, ma anche preventivo, offrendo all’assicurato un espediente per rispondere in maniera rapida ed efficace a tutte le molteplici incidenze negative che possono derivare dal medesimo incidente di sicurezza e che coinvolgono figure professionali in disparati ambiti di competenza.

È proprio per queste sue caratteristiche che la polizza cyber risk viene generalmente offerta sul mercato come prodotto stand alone, il più completo contro gli attacchi informatici/ incidenti di sicurezza.

Rispetto alle più tradizionali polizze per la responsabilità civile professionale o alle polizze D&O, infatti, la polizza cyber copre il risarcimento di tutte le spese sostenute dall’assicurato: sia sotto forma di danni propri (quali le spese per il recupero dei dati, le spese per il ripristino dei sistemi informatici, sino anche alla perdita di fatturato e ai costi relativi alle lesioni all’immagine), sia sotto forma di danni causati a terzi (quali le spese derivanti da violazione della privacy e le relative richieste di risarcimento).

In un’epoca in cui lo sviluppo tecnologico è un fenomeno in continua espansione che colpisce tutti i settori economici, la polizza cyber può senz’altro rappresentare uno strumento utile per rispondere alle nuove sfide ed esigenze del mercato, in particolare proprio grazie a questo suo approccio esaustivo, che consente inoltre di avere a disposizione un team dedicato e specializzato per la gestione delle violazioni di sicurezza sotto tutti i suoi molteplici aspetti, un vero e proprio “pronto intervento” da attivare appena si è colpiti da questi eventi. Non sorprende, quindi, che i cyber risks siano oggi prevalentemente assunti da imprese assicuratrici con alta specializzazione.

La diffusione di polizze cyber risk, tuttavia, seppur in crescita nel resto del mondo, stenta ancora ad affermarsi in Italia.

Al fine di valutare l’opportunità di sottoscrivere una polizza cyber in vigenza di altri prodotti assicurativi, occorre prestare particolare attenzione alle condizioni generali degli altri prodotti sottoscritti. Di norma, infatti, la copertura cyber non viene di per sé offerta da altre polizze tradizionali, che sovente escludono i danni derivanti da e le richieste di risarcimento relative a cyber liability.

Solo alcune compagnie hanno optato per la presenza nelle loro polizze della cosiddetta “garanzia ransomware”, omettendo però di offrire vere polizze cyber, caratterizzate da quell’elemento di esaustività visto in precedenza.

Con un non troppo celato velo di amarezza, quindi, si può soltanto auspicare che nel prossimo futuro anche il nostro paese possa accelerare il passo nella direzione delle polizze cyber risk e affiancarsi in quella che, in altri parti d’Europa e nel mondo, rappresenta ormai una realtà consolidata.

FONTE:

CINTURA DI SICUREZZA – O la indossi o scendi dalla vettura: tertium non datur

Spesso i conducenti ignorano la responsabilità e le pesanti conseguenze che gravano in capo a loro nel caso in cui i passeggeri non indossino la cintura di sicurezza

di Bianca Pascotto

L’indulgenza del conducente verso i passeggeri che non indossano la cintura di sicurezza a volte costa cara, anzi carissima, se dalla conduzione del veicolo consegue un sinistro che provoca lesioni personali.

L’atto di indossare le cinture di sicurezza quando ci si siede sul sedile, è divenuto, nella stragrande maggioranza dei casi, automatico ed istintivo, ma esistono ancora alcune resistenze, soprattutto da parte dei passeggeri ed in particolar modo per i passeggeri che occupano i sedili posteriori, nonostante il codice della strada imponga a tutti l’utilizzo del sistema di ritenzione come previsto dall’art. 172.

Ma forse quello che molti conducenti ignorano è la responsabilità e le pesanti conseguenze che gravano in capo a loro nel caso in cui i passeggeri (anteriori o posteriori nulla cambia) non indossino la cintura.

Infatti a prescindere dalla sanzione amministrativa, in caso di un incidente stradale con lesioni ai trasportati, il conducente risponde del  reato di lesioni personali colpose o, ancor peggio nelle ipotesi più gravi, di omicidio colposo.

Recente conferma dell’orientamento ormai consolidato in merito alla cooperazione colposa tra il conducente e passeggero privo di cintura, è giunta dalla sezione penale della Corte di Cassazione.

FONTE:

CINTURA DI SICUREZZA – O la indossi o scendi dalla vettura: tertium non datur
INAIL – Secondo la Cassazione deve indennizzare lavoratore depresso

INAIL – Secondo la Cassazione deve indennizzare lavoratore depresso

L’Inail deve indennizzare anche il lavoratore affetto da sindrome depressiva. Pesa l’articolo 10, comma quarto, del decreto legislativo 38/2000, secondo cui sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle normative, a patto che il lavoratore dimostri il nesso causale con l’attività svolta. È quanto emerge dall’ordinanza 29611/22, pubblicata l’11 ottobre dalla sezione lavoro della Cassazione. Il ricorso proposto dalla lavoratrice è accolto dopo una doppia sconfitta in sede di merito. Sbagliano il Tribunale prima e la Corte d’appello poi a negare l’indennizzo Inail per il danno biologico: la donna accusa un disturbo dell’adattamento con umore depresso, dovuto alla situazione lavorativa «avversativa», così come accertato dai medici. E non si può escludere la copertura assicurativa per la lesione psichica patita dal lavoratore in condizioni di «costrittività organizzativa» soltanto perché il Consiglio di Stato ha annullato una circolare Inail del 2003 e il dm 134/04. Risulta infatti incongrua la distinzione fra malattia fisica e psichica quando la patologia ha origine nel rapporto con il datore: il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, esponendola a rischi rilevanti in entrambe le sfere. Il fondamento della tutela assicurativa, osservano d’altronde gli “ermellini”, non sta tanto nella nozione di rischio assicurato o di traslazione del rischio ma nella protezione del bisogno a favore del lavoratore, considerato in quanto persona; così come l’articolo 38 della Costituzione tutela l’infortunio in sé e non l’eventualità che il sinistro si verifichi: è il primo e non la seconda l’evento che genera il bisogno protetto dalla Carta fondamentale. Non convince l’interpretazione secondo cui i premi assicurativi Inail servirebbero proprio a limitare la tutela ai rischi individuati dalle tabelle: i versamenti a carico delle imprese hanno la sola funzione di finanziare il sistema previdenziale. E il superamento della visione statistico-assicurativa di rischio è avvenuto grazie alla Cassazione e alla Consulta per garantire la massima tutela fisica e sanitaria dei lavoratori. La parola passa al giudice del rinvio – DARIO FERRARA

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LA SALUTE – Segue la legge

PER IL MINISTERO DEL LAVORO LA SORVEGLIANZA SANITARIA HA REGOLE AD HOC

di Daniele Cirioli
La sorveglianza sanitaria nel luogo di lavoro va effettuata nei casi previsti dalla legge e qualora ne faccia richiesta il lavoratore, cioè in base a quanto prescritto dall’art. 41, comma 1, lett. a, del dlgs 81/2008 (TU sicurezza lavoro). Lo precisa il ministero del lavoro (commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza sul lavoro) nell’interpello 2/2022, in risposta a un quesito della regione Lazio.

La questione. La regione ha chiesto parere su una precisa questione: se l’obbligo di sorveglianza sanitaria sia da collegarsi rigidamente all’interno delle previsioni dell’art. 41 del Tu sicurezza (articolo che disciplina proprio la «sorveglianza sanitaria»); o se, piuttosto, ai sensi dell’art. 18 dello stesso Tu, il datore di lavoro debba, in generale, tenere conto delle condizioni dei lavoratori, nonché della loro capacità di svolgere compiti specifici, garantendo di conseguenza una sorveglianza sanitaria programmata dal medico competente in funzione dei rischi valutati in relazione alla mansione specifica. Nel primo caso (sorveglianza ex art. 41), gli obblighi a carico del datore di lavoro sarebbero connessi in via esclusiva con l’applicazione dei giudizi d’idoneità del medico competente e delle eventuali prescrizioni/limitazione da questi giudizi previste; nel secondo caso (sorveglianza ex art. 18), si tratterebbe di un’attività meno limitata, perché non vincolata alle previsioni dell’art. 41.

Il chiarimento. L’interpello spiega che, in base alla normativa vigente, la sorveglianza sanitaria va ricondotta all’art. 41 del Tu sicurezza. A sostegno di ciò, la commissione ricorda, prima di tutto, che la «sorveglianza sanitaria» è definita dal TU sicurezza (art. 2) come “insieme di atti medici, finalizzati alla tutela dello stato di salute e alla sicurezza dei lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali, nonché alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa”. Quindi richiama l’art. 18 per ricordare che, in capo al datore di lavoro, c’è l’obbligo di «nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti» dal Tu; e che il datore di lavoro, quando «affida i compiti ai lavoratori», deve tenere conto delle capacità e delle condizioni in rapporto alla loro salute e alla sicurezza. In base all’art. 41, in conclusione, la sorveglianza sanitaria va effettuata dal medico competente: nei casi previsti dalla normativa e dalle indicazioni della Commissione consultiva sulla sicurezza lavoro; e qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi. Sempre l’art. 41, inoltre, stabilisce che la sorveglianza sanitaria comprenda, tra l’altro, una visita medica preventiva finalizzata a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato (idoneità alla mansione specifica) e una visita medica periodica di controllo, di norma una volta l’anno.

Fonte:

LA SALUTE – Segue la legge