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Category: Rassegna Stampa

SOCIO DELLA S.N.C. – La sconfinata responsabilità.

SOCIO DELLA S.N.C. – La sconfinata responsabilità.

La sconfinata responsabilità del socio della s.n.c.

Di Bianca Pascotto

IL FATTO             

Una società in nome collettivo formata da 4 soci gestisce due stazioni di rifornimento di carburanti.

In una delle due stazioni viene accertato uno scarico di acque reflue sulla pubblica fognatura in assenza della necessaria autorizzazione, visto che la precedente era scaduta da quasi due anni.

Tutti e 4 i soci vengono condannati per il reato di scarico di acque reflue (ex D.lgs n. 152/2006) con condanna ad una pena pecuniaria in alternativa alla pena detentiva.

Due soci dei quattro soci impugnano la decisione, sostenendo che essi non gestivano né si occupavano in alcun modo della stazione di servizio oggetto dello scarico abusivo, la quale era esclusivamente amministrata dagli altri due soci. In relazione a detta circostanza gli stessi non avevano assunto alcuna posizione di garanzia.

LE NORME

La società in nome collettivo è una società di persone nella quale tutti soci rispondono personalmente ed illimitatamente per le obbligazioni societarie, in ragione del presupposto che per detta tipologia di società si accorda una prevalenza dell’apporto personale sul capitale.

Normalmente nelle snc tutti i soci rivestono la qualifica di rappresentante legale della società e, salvo diversa previsione dello statuto, ciascun socio amministra la società disgiuntamente dagli altri ex art. 2257 c.c..

Quando il potere amministrativo riposa disgiuntamente in capo a ciascun socio, la condotta e le decisioni di quest’ultimo si riverberano inevitabilmente nei confronti di tutti (salvo loro espressa opposizione), pertanto ogni socio risponde in via diretta, personale ed autonoma per ogni vicenda che coinvolga la società, dovendo tutti, nessuno escluso, adempiere agli obblighi di legge sia civili che penali.

L’unico argine a detta sconfinata responsabilità, soprattutto in materia di sicurezza e di tutela dell’ambiente, è la delega di funzioni che può essere attribuita ad un singolo socio, ma che deve essere validamente conferita e deve superare il vaglio della sua tenuta sotto il profilo sostanziale, in caso di accertamento giudiziale.

LA SOLUZIONE

Nel caso di specie la recente sentenza della Cassazione intervenuta sul punto (n. 1719 del 15.01.2021), ha confermato la condanna ai due soci, nonostante fosse stato accertato che effettivamente gli stessi non gestivano l’impianto e non avevano avuto alcun ruolo operativo nell’amministrazione della stazione di servizio.

La Corte in primo luogo ha stabilito che in materia di scarichi “risponde innanzitutto il titolare dell’insediamento produttivo da cui origina lo scarico), ferma restando l’eventuale concorrente responsabilità, se diverso, del soggetto che in concreto gestisca l’impianto, in quanto su quest’ultimo grava l’onere di controllare che l’impianto da lui gestito sia munito dell’autorizzazione”.

In secondo luogo, in materia di tutela dei beni primari tutelati costituzionalmente  quali la salute, l’utilità sociale, la sicurezza e l’ambiente “La posizione di garanzia attribuita dalla legge ai soggetti titolari d’impresa rispetto alla protezione di tali beni nello svolgimento delle attività economiche…..non consentono di ritenere che l’imprenditore possa chiamarsi fuori dalle responsabilità nei suoi confronti previste…limitandosi a delegare ad altri l’adempimento degli specifici obblighi di legge, senza vigilare sul corretto espletamento delle funzioni trasferite. Di qui la permanenza della responsabilità penale del delegante che, in caso di commissione di reati colposi da parte del delegato, non abbia ottemperato all’obbligo di vigilanza e controllo”.

La Corte ha, dunque, affermato la responsabilità penale dei due soci perché essendo amministratori della società ed in assenza di valida delega, avevano l’obbligo giuridico di vigilare sull’operato dell’intera compagine sociale e sul rispetto delle prescrizioni di legge, un tanto indipendentemente dalla circostanza di non avere la materiale gestione della stazione di servizio.

La negligenza nel disinteressarsi della gestione dell’unità locale pur non direttamente da loro gestita ha consacrato la loro responsabilità.

FONTE:

LEGGE 231: Cosa è? A cosa serve?

Cos’è

Il D.Lgs. 231/01 estende la responsabilità penale a carico delle società. Il Modello 231 (anche chiamato MOG) è un insieme di procedure che servono a proteggere le società da accuse penali.

A cosa serve

  • Il Modello 231 serve per ridurre il rischio di sanzioni penali a carico delle aziende, serve quindi a evitare il rischio di multe pecuniarie, anche di milioni di euro, e il rischio di interdizione;
  • Il Modello 231, in caso di contestazioni, è valutato ai fini della riduzione delle sanzioni;
  • Il Modello 231 aumenta l’affidabilità finanziaria delle aziende, quindi serve a migliorare il rapporto con le banche;
  • Il Modello 231 garantisce una riduzione nel costo dell’importo di garanzia per la partecipazioni a bandi o gare indette dalla pubblica amministrazione del 30% (art. 93, d.lgs 50/2016);
  • Il Modello 231 aiuta a migliorare l’organizzazione dell’azienda;
  • Il Modello 231 è anche una mappatura dei rischi aziendali, per poterli prevenire;
  • Il Modello 231 tutela l’investimento dei soci e degli eventuali azionisti;
  • Il Modello 231 crea un vantaggio competitivo, di immagine e in termini di Rating di Legalità, basato su una politica aziendale di integrità e trasparenza;
  • Il Modello 231 riduce i costi delle assicurazioni e dell’Inail;
  • Il Modello 231 chiarisce responsabilità e deleghe dei lavoratori;
  • Il Modello 231 agevola l’attività di controllo del Collegio Sindacale/Revisore;
  • Il Modello 231 facilita l’ottenimento di agevolazioni.

La metodologia di Gruppo Ingegneria Gestionale

Sarà costituito un apposito gruppo di lavoro 231 con la partecipazione delle persone dell’azienda e di Gruppo Ingegneria. Sarà necessario un incontro di apertura con gli amministratori dell’azienda per individuare il gruppo di lavoro e per chiarire e condividere gli obiettivi. Sarà effettuata una valutazione di impatto ossia una valutazione sui benefici derivanti dalle attività.

Si procederà, poi:

  • alla raccolta e analisi di tutta la documentazione esistente (organigrammi, ordini di servizio, procedure operative esistenti, deleghe e procure, regolamenti, sistema disciplinare, regolamento di spesa, certificazioni, contrattualistica, etc.);
  • all’identificazione delle attività a rischio, attraverso la mappatura delle aree interessate al rischio di commissione di reato;
  • all’individuazione di procedure e protocolli interni già esistenti e alla realizzazione di un sistema di procedure e deleghe, tese a disciplinare e rendere conforme l’azienda ai principi del Decreto;
  • alla definizione di un Codice Etico, che fissi le linee di orientamento generali;
  • alla redazione del Modello 231, comprendente anche il sistema sanzionatorio/disciplinare;
  • all’integrazione del Modello 231 con i Sistemi di Gestione esistenti;
  • al supporto alla Direzione nell’individuazione delle figure più idonee per l’istituzione dell’Organismo di Vigilanza;
  • a formare ed informare tutto il Personale sulla corretta conoscenza e divulgazione delle regole di condotta contenute nel modello organizzativo;
  • alla disamina, revisione ed eventuale aggiornamento delle procedure e deleghe esistenti;
  • alla predisposizione sia del verbale in cui si dà atto dell’avvio delle attività di realizzazione del Modello, sia del verbale in cui si delibera l’adozione del Modello.

Il team parteciperà al lavoro con professionisti di ambito organizzativo, legale, ingegneristico e fiscale, quindi, con reale integrazione delle diverse e necessarie professionalità.

L’intervento proposto è, dunque, volto a soddisfare i seguenti principali aspetti:

  1. Personalizzazione: creazione di un modello applicabile, di reale utilità e di valore aggiunto, tramite un maggiore controllo dei processi;
  2. Graduazione in funzione del rischio: il Modello deve essere volto a prevenire il rischio, ma è evidente che le azioni organizzative che ne conseguono devono essere definite in funzione del livello di rischio “accettabile” per ogni azienda e della sua probabilità di accadimento;
  3. Sinergia con i sistemi organizzativi esistenti: è volta a ricercare la massima efficienza non solo nella creazione del Modello, ma anche, e soprattutto, nella sua applicazione e manutenzione.

FONTE:

LEGGE 231: Cosa è? A cosa serve?
FIDO – Basta portarlo a passeggio anche col guinzaglio per risponderne

FIDO – Basta portarlo a passeggio anche col guinzaglio per risponderne

GIURISPRUDENZA – Autore: L. Petri e M.R. Oliviero – ASSINEWS 326 – gennaio 2021      

La sentenza n. 27876 pubblicata il 7 ottobre 2020 dalla quarta sezione penale della Cassazione ha condannato per lesioni colpose e al risarcimento di tutti i danni provocati, chi portava a passeggio il cane, anche se al guinzaglio, non ritenendo necessario verificare se fosse davvero il proprietario.

Secondo la Cassazione, infatti, il semplice portare quotidianamente a spasso l’animale con il guinzaglio, faceva presumere una relazione di affezione e possesso e, quindi, l’obbligo di non lasciare libero il cane e di custodirlo con le dovute cautele per evitare aggressioni a terzi. A nulla valeva la difesa del convenuto che sosteneva di non essere il proprietario del cane.

L’importanza del concetto di proprietà per determinare la responsabilità 

L’art. 2052 del Codice Civile sancisce, infatti, che il proprietario di un animale, o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dallo stesso, sia che esso si trovi sotto la sua custodia, sia che sia smarrito o fuggito, salvo che provi la sussistenza del caso fortuito.

Responsabilità oggettiva

Si tratta dunque di una ipotesi di responsabilità oggettiva: il proprietario (o chi si serve) dell’animale risponde, non tanto per un comportamento attivo od omissivo, ma solamente in forza di un mero rapporto di fatto con l’animale.

La prova del danneggiato

Il danneggiato potrà limitarsi a provare:

  • il danno subito;
  • il nesso causale tra il fatto dell’animale e l’evento dannoso.
Il caso fortuito

Il proprietario risponderà dei danni cagionati dall’animale, salvo riesca a provare la sussistenza del caso fortuito, ossia l’intervento di un fattore esterno idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo. Tale fattore esterno dovrà presentare i caratteri dell’imprevedibilità, dell’inevitabilità e dell’assoluta eccezionalità, non potendosi limitare a sostenere di aver utilizzato la normale diligenza nel custodire l’animale, né a provare la normale mansuetudine dello stesso (Cass. 9037/2010).

Concorso del creditore

Nel caso fortuito rientrano anche le ipotesi di fatto del terzo e colpa del danneggiato. Il fatto del terzo può esimere il proprietario da qualsivoglia responsabilità qualora assuma i caratteri dell’eccezionalità e imprevedibilità, al punto che il proprietario non avrebbe potuto in alcun modo evitare l’evento. Del pari, il proprietario andrà esente da responsabilità per colpa del danneggiato qualora il comportamento di quest’ultimo sia tale da assorbire l’intero rapporto causale, ossia sia la ragione unica sufficiente affinché si sia verificato l’evento lesivo. Qualora tuttavia il proprietario non riesca a fornire la prova liberatoria di cui all’art. 2052 c.c., il giudice non potrà che condannarlo al risarcimento dei danni (Cass. 6454/2007).

La responsabilità ex art. 2052 c.c. è alternativa

A rispondere delle lesioni sarà infatti:

  • il proprietario;
  • o, in alternativa, colui che se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso.
Uso, custodia e utilità

La giurisprudenza ha più volte delineato i confini di tale alternatività, nonché specificato cosa debba intendersi per «persona che lo ha in uso». Tale espressione sta infatti a indicare colui che esercita un potere effettivo sull’animale di gestione, di controllo, di vigilanza, analogo a quello che normalmente compete al proprietario (Cass. 22632/2012). All’interno di tale nozione vi rientrano, pertanto, coloro che si servono dell’animale altrui, con il consenso del proprietario, per soddisfare un interesso autonomo, che sia dunque per ragioni di lavoro, ma anche per una utilità affettiva e di compagnia (Trib. Monza 21.11.05). Tale uso deve essere tale da sottrarre il controllo dell’animale al proprietario e, pertanto, non risponderà ai sensi dell’art. 2052 c.c. (ma semmai ex art. 2043 c.c. ove sussistenti i requisiti), il terzo a cui viene affidato l’animale per mere ragioni di curagoverno o mantenimento. Per queste ipotesi, rimarrà responsabile il proprietario, salvo riesca a dimostrare l’utilizzo (anche temporaneo) da parte del terzo dell’animale con l’intento di realizzare un interesse autonomo (Cass. Sezioni Unite 27.20.95 n. 11173).

La responsabilità degli animali da affezione

La nozione di animale è molto ampia e la responsabilità può sorgere per danni causati da animali domestici, selvatici, randagi o addomesticati. Qualora l’animale sia domestico ed appartenga ad un nucleo familiare, ai fini dell’applicabilità dell’art. 2052 c.c., il capofamiglia si presume essere il proprietario, fatta salva la possibilità di fornire la prova che l’animale appartenga in via esclusiva ad altro membro della famiglia. La responsabilità per i danni cagionati può ricadere anche sul mero possessore, come visto nella sentenza 27876/2020 in esame, qualora la situazione sia tale da far presumere nei terzi una ragionevole appartenenza circa la proprietà del cane.

La responsabilità della fauna selvatica

Un cenno a parte meritano i danni causati dalla fauna selvatica, sui quali da tempo la giurisprudenza e la dottrina si interrogano. Sin dall’entrata in vigore della legge 968/1977, gli animali selvatici sono considerati beni facenti parte del patrimonio indisponibile dello Stato. Tale principio è stato poi ribadito nella più recente legge 157/1992, ove viene confermato che la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato e deve essere tutelata nell’interesse della collettività.

Nessuna custodia per la fauna selvatica

L’orientamento prevalente ritiene che i danni causati dalla fauna selvatica non siano risarcibili ai sensi dell’art. 2052 c.c., in quanto lo stato di libertà degli animali sarebbe incompatibile con un obbligo di custodia e sorveglianza da parte degli organi della Pubblica Amministrazione (Cass. 23095/2010; Cass. 13907/2002; Cass. 21282/2007; Cass. 7080/2006). Inoltre, l’art. 2052 c.c. fa ricadere la responsabilità in capo a chi trae una utilità dall’uso e dalla custodia dell’animale; utilità che difetterebbe nel caso degli animali selvatici (Corte Cost. 4.1.2001 n. 4). I danni causati dalla fauna selvatica sarebbero dunque risarcibili solo ai sensi dell’art. 2043 c.c., spettando al danneggiato un onere della prova decisamente più stringente, dovendo dimostrare un concreto comportamento colposo dell’Ente pubblico. Tale onere di prova tuttavia si presenta spesso come difficile da superare.

L’applicabilità dell’art. 2052 c.c. è sempre stata esclusa sulla base di due principi:

  • i danni risarcibili sarebbero solo quelli causati dagli animali domestici;
  • l’imputazione della responsabilità deve cadere su chi trae utilità dall’utilizzo dell’animale o è tenuto alla sorveglianza e custodia dello stesso.
L’orientamento minoritario e contrario

Secondo la Cassazione tuttavia tali principi, ritenuti granitici, non trovano fondamento normativo, in quanto la disposizione in esame non si limita a menzionare gli animali domestici, ma fa riferimento a tutti quelli suscettibili di proprietà ed utilizzazione umana. Inoltre, tale norma prescinde anche dall’effettiva custodia, in quanto viene espressamente prevista la responsabilità anche in caso di animale “smarrito o fuggito”. Pertanto, avendo l’ordinamento stabilito che la proprietà degli animali selvatici spetta allo Stato, la naturale conseguenza non può che essere l’applicabilità dell’art. 2052 c.c., configurando l’ipotesi contraria un ingiustificato privilegio concesso in favore della Pubblica Amministrazione a discapito dei cittadini danneggiati. L’orientamento (minoritario) contrario a tale interpretazione ha trovato recentemente nuovo spunto nella pronuncia n. 7969 della Cassazione del 20 aprile 2020, con la quale per la prima volta la Suprema Corte ha ritenuto applicabile il principio di imputazione di cui all’art. 2052 c.c. ed ha addebitato alla Regione la responsabilità per i danni causati dalla fauna selvatica.

Responsabilità delle regioni per la fauna selvatica

La gestione della fauna, incombente sulla Regione, infatti, non comporta automaticamente che qualsiasi danno causato le sia addebitato, dovendo fornire il danneggiato prova concreta della condotta colposa da parte dell’ente. Occorrerà, ad esempio, dimostrare che in una determinata zona era stata più volte segnalata all’Ente pubblico la presenza di un numero eccessivo di animali selvatici potenzialmente pericolosi, senza tuttavia che l’Ente pubblico si attivasse in alcun modo. Alla Regione compete infatti l’obbligo di predisporre tutte le misure idonee ad evitare che gli animali selvatici causino danni alle persone e/o cose, dovendo rispondere dei danni tuttavia solo alla stregua dei principi generali di cui all’art. 2043 c.c.

 

FONTE:

IL TERMOIDRAULICO – Quando non opera la RC da interruzione d’esercizio

IL CASO – Autore: Fabrizio Mauceri – ASSINEWS 326 – gennaio 2021        

Premessa
L’intermediario è di norma piuttosto sicuro che i prodotti che vende siano idonei alle esigenze dell’assicurato. E questa certezza porta molto spesso a commettere qualche passo falso. Non sempre infatti si riesce a prevedere al momento della stipula della polizza tutti i sinistri che potrebbero verificarsi in seguito alla effettiva attività svolta dall’assicurato.

Questo perché si tende ad utilizzare in modo sempre più massivo prodotti standardizzati o facility che, per quanto buoni che siano, mostrano sempre qualche “buco” nel momento in cui, per la legge di Murphy, tutto va storto. Se si tornasse alle buone abitudini di fare analisi di rischio probabilmente si riuscirebbe a contenere i danni. Purtroppo, però, la strada intrapresa dalla maggioranza degli operatori del settore va nella direzione opposta.

Il caso del termoidraulico
Un’azienda media del settore che si occupa di installazione, montaggio e manutenzione di impianti termoidraulici era assicurata tramite un bravo intermediario con una primaria compagnia di assicurazioni in tutti i rami. La polizza cui attribuivano particolare importanza era quella di responsabilità civile terzi, in quanto erano consapevoli dei rischi che correvano svolgendo gran parte della loro attività presso terzi con la possibilità di danneggiare cose e di provocare lesioni a persone.

Per questo motivo avevano insistito molto con il broker per avere la miglior polizza possibile riguardo a massimali e sotto massimali delle varie garanzie. Il prodotto che ne era uscito aveva quindi una copertura di 5 milioni di euro UNICA, con svariate estensioni come la postuma, il danno a terzi d’incendio, il danno a terzi da interruzione d’esercizio, l’inquinamento accidentale e così via.

Il fatto
Un giorno la nostra ditta viene chiamata ad installare un nuovo impianto antincendio. L’operazione di scavo viene fatta da un subappaltatore, mentre l’assicurato si è occupato in prima persona della messa in opera delle tubazioni, delle valvole di sezionatura, delle saldature eccetera eccetera. L’azienda che aveva commissionato il lavoro pare soddisfatta dell’esito e per circa un anno lavora normalmente. Passato però questo intervallo di tempo riceve una bolletta dell’acqua di 80 mila euro per una perdita d’acqua causata da una saldatura difettosa dell’impianto.

L’azienda, presa dal panico, si rivolge immediatamente ad un avvocato per chiedere i danni al termoidraulico che aveva posto in funzione la rete antincendio. L’assicurato, preoccupato della richiesta ricevuta, chiama subito il suo assicuratore chiedendogli consiglio su come denunciare il sinistro e sul modo in cui lo stesso dovesse essere gestito. L’assicuratore sornione, certo del buon lavoro fatto a monte, tranquillizza il cliente e comincia a preparare la documentazione per denunciare il sinistro. Raccolto il tutto invia la denuncia alla compagnia pregando la stessa di tenerlo informato sulla evoluzione della pratica.

La perizia
Il perito constata che in seguito alla perdita d’acqua non c’è stato un danno materiale a cose o persone e che il danno subito dalla controparte consiste esclusivamente dalla maggiorazione della bolletta dell’acqua. Il tecnico provvede quindi ad analizzare la polizza che nell’oggetto dell’assicurazione prevede:

Art. … – Oggetto dell’assicurazione a) Assicurazione responsabilità civile verso terzi (R.C.T.) La Società si obbliga a tenere indenne l’Assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare, quale civilmente responsabile ai sensi di legge, a titolo di risarcimento (capitale, interessi e spese) di danni involontariamente cagionati a terzi, per morte, per lesioni personali e per danneggiamenti a cose, in conseguenza di un fatto accidentale verificatosi in relazione ai rischi per i quali è stipulata l’assicurazione. L’assicurazione vale anche per la responsabilità civile che possa derivare all’assicurato da fatto doloso di persone delle quali debba rispondere.

Il perito molto scrupoloso non si ferma qui e va ad analizzare anche tutte le estensioni particolari presenti in polizza e si sofferma su queste due:
• Danni da interruzioni o sospensioni di attività
A parziale deroga dell’art. …) lettera i) delle Norme che regolano l’assicurazione, la garanzia comprende i danni derivanti da interruzioni o sospensioni, totali o parziali, di attività industriali, commerciali, agricole o di servizi, purché conseguenti a sinistro indennizzabile a termini di polizza. Questa estensione di garanzia è prestata con uno scoperto del 10% per ogni sinistro (con il minimo assoluto di € 2.500,00), nel limite del massimale per danni a cose, e comunque con il massimo risarcimento di € 250.000,00 per sinistro.

• Responsabilità civile postuma
A parziale deroga dell’art. ..) lett. g) delle Norme che regolano l’assicurazione, la garanzia vale anche per la responsabilità civile derivante all’Assicurato ai sensi di legge, nella sua qualità di installatore, manutentore o riparatore anche di impianti non installati dall’Assicurato, per danni cagionati a terzi (compresi i committenti) dagli impianti stessi dopo l’ultimazione dei lavori. L’assicurazione è prestata anche per le attività di cui all’art. 1 della Legge n. 46 del 5 marzo 1990 purchè l’Assicurato sia in possesso dell’abilitazione prevista dall’art. 2 della legge stessa.

L’assicurazione non comprende i danni:
1. agli impianti, attrezzature o cose installate, riparate o mantenute e qualsiasi spesa inerente alla sostituzione o riparazione degli stessi;
2. da vizio o difetto originario dei prodotti da chiunque fabbricati;
3. da inidoneità o mancata rispondenza all’uso per i quali gli impianti sono destinati;
4. da mancato od intempestivo intervento manutentivo.

L’assicurazione è prestata per i danni verificatisi entro ventiquattro mesi dall’esecuzione dell’intervento, purché il sinistro venga denunciato entro 30 giorni dall’avvenuto accadimento, e comunque non oltre la data di scadenza di polizza.

Questa estensione di garanzia è prestata con uno scoperto per ciascun sinistro del 10% con il minimo di 500,00 e con il massimo risarcimento di € 250.000,00 per uno o più sinistri verificatisi nel corso di uno stesso periodo assicurativo annuo limitatamente ai danni a cose. Verificato l’oggetto dell’assicurazione e le due estensioni, il perito non rileva i presupposti affinché il sinistro sia indennizzabile.

La posizione della compagnia
Vista la perizia e la denuncia del sinistro la compagnia respinge l’indennizzo, ravvisando che il danno subito dalla controparte non è conseguente ad un danno a cose o persone e per questa ragione non è indennizzabile. Vista infatti l’operatività della garanzia postuma che vale 24 mesi (la perdita d’acqua si è verificata dopo 12 mesi) e visto che la garanzia danni da interruzione d’esercizio opera esclusivamente in conseguenza di fatti indennizzabili dalla polizza nel suo oggetto, non ravvisa l’operatività della copertura.

Intermediario e assicurato
A questo punto l’assicurato, spinto dall’intermediario, pensa di rivolgersi a sua volta ad un legale per chiamare in causa l’assicurazione nella gestione del sinistro.

Diritto
In questa fattispecie ci troviamo di fronte non ad un danno a terzi da interruzione d’esercizio in senso stretto. Il danneggiato infatti non ha mai lamentato una interruzione di attività od un calo di fatturato. Quanto subito dal terzo consiste infatti ad un danno finanziari puro conseguente ad un lavoro difettoso.

Non ci troviamo davanti quindi a nessuna delle fattispecie disciplinate dalla polizza. Non c’è infatti un danno a cose e persone presupposto per l’efficacia della copertura base. Non c’è un danno da interruzione d’esercizio. Non c’è neanche una vera e propria postuma perché il presupposto che questa sia efficace è che ci sia un danno materiale dopo l’esecuzione dei lavori. Mentre in questo caso c’è stato un danno immateriale dopo l’esecuzione dei lavori.

Pertanto la polizza non opera relativamente a quanto stabilito dalla compagnia ma perché la fattispecie che si è verificata non è contemplata tra quelle assicurate.

Conclusione
Una cosa che non dobbiamo mai dimenticare nel rapporto con l’assicurato è quello di spiegare sempre dove comincia la RC extracontrattuale e dove ci troviamo di fronte a rischi di impresa. Se lo stesso intermediario non riesce a riconoscere e prevedere queste problematiche, finirà per esporre l’assicurato a spese ulteriori con rischi concreti di veder chiamata in causa la propria RC professionale.

Non dimentichiamo mai pertanto di fare sempre analisi di rischio non solo in sede precontrattuale ma anche ex post quando si è verificato il sinistro. In modo da verificare che tutte le posizioni siano corrette.

FONTE:

IL TERMOIDRAULICO – Quando non opera la RC da interruzione d’esercizio
INQUINAMENTO ACCIDENTALE – Proposta delle Compagnie

INQUINAMENTO ACCIDENTALE – Proposta delle Compagnie

Di Simone Rizzo e Luca Furgiuele

In questo numero della rubrica “Benchmark & Clausole” confrontiamo le condizioni di polizza in materia di inquinamento accidentale proposte dalle 5 compagnie assicurative leader nel mercato:

  • Allianz;
  • Generali Italia;
  • Reale Mutua;
  • UnipolSai;
  • Zurich.

In tutte le successive tabelle di comparazione abbiamo segnalato con il colore verde le condizioni di maggior favore per l’assicurato e con il colore giallo i contenuti di cui l’assicurato dovrebbe essere sempre informato prima della sottoscrizione del contratto.

Definizione e collocazione della clausola nella polizza

L’inquinamento accidentale si configura come evento improvviso che provoca accidentalmente una contaminazione dell’acqua, dell’aria o del suolo (ad esempio a causa dal collasso di un silo) e si distingue dall’inquinamento graduale, che viene invece provocato in un lasso temporale prolungato (ad esempio a causa del percolamento di liquidi risposti in un’area di stoccaggio).

La garanzia viene generalmente offerta a titolo oneroso come estensione della garanzia di Responsabilità Civile verso Terzi a quelle imprese che vogliono tutelarsi dai soli fenomeni accidentali.

Caratteristiche della garanzia “inquinamento accidentale”

Lo studio dei testi di polizza rileva un importante fattore che può influire sul grado di copertura assicurativa del rischio di danni a terzi da inquinamento accidentale: le cause di inquinamento. Queste possono essere limitate solo alla rottura accidentale di impianti e condutture oppure essere molto più estese prevedendo, in via generica, la fuoriuscita o emissione di sostanze di qualunque natura per effetto di un evento accidentale.

Altri aspetti, quali il limite di indennizzo, gli scoperti e le estensioni per i danni a terzi da interruzione d’attività, anche se presentano degli elementi di differenziazione, si possono ritenere comunque omogenei. La soluzione migliore è quella proposta da Allianz che prevede limiti di indennizzo personalizzabili fino a € 500.000,00.

Esclusioni e limiti di operatività

Tra le condizioni di polizza sottoposte ad analisi solamente una (Zurich) precisa, in maniera analoga a quanto visto con riferimento alle malattie professionali (vedi il nostro articolo), una limitazione all’operatività della garanzia in caso di intenzionale inosservanza delle disposizioni di legge o di intenzionale mancata prevenzione del danno per omesse riparazioni o adattamenti dei mezzi predisposti a prevenire l’inquinamento (ferma restando la ripresa di operatività della clausola per danni successivi alla data di riallineamento normativo ed operativo). La stessa compagnia limita ulteriormente la copertura escludendo i danni di tipo ambientale, i danni derivanti da alterazioni di tipo genetico e i danni provocati da attività svolte all’esterno dello stabilimento.

Conclusioni

Le clausole analizzate sono simili: si suggerisce di porre particolare attenzione alla verifica della congruità dei limiti di indennizzo e alla valutazione delle cause di inquinamento previste, affinché la polizza sia effettivamente adeguata all’esercizio dell’attività assicurata. Per lo stesso motivo si ricorda la possibilità di offrire alle aziende anche specifiche coperture contro i fenomeni di inquinamento graduale, che permettono di far fronte ai costi connessi alle opere di bonifica e ripristino dei siti contaminati.

FONTE:

TESTAMENTO – Cos’è e quante tipologie esistono

NEWS ANSA.IT

Iniziamo con il chiarire cos’è un testamento

Il testamento è un atto personale, necessariamente redatto in forma scritta, che esplicita concretamente le volontà di una persona in merito a questioni di natura patrimoniale (i cosidetti beni economici), materiale (come ad esempio i possedimenti, le opere, gli oggetti) e morale (come ad esempio le disposizioni inerenti la celebrazione del funerale o la modalità di sepoltura). Come disciplinato nell’articolo 587 del Codice Civile, per essere valido il testamento deve essere stilato per iscritto e può derogare la normativa della successione testamentaria, indicando soggetti differenti.

Il testamento gode della caratteristica di revocabiltà, pertanto, se viene redatto in periodi della vita particolari, come nel caso di un’alterazione dello stato di salute o il manifestarsi di una malattia, esso può essere modificato o, in alcune circostanze, rivisto in funzione delle nuove condizioni di salute del testatore oppure nel momento in cui quest’ultimo modifichi il parere inerente alla destinazione delle sue sostanze.

Gli elementi del testamento

La caratteristica principale dell’atto testamentario è la sua natura di essere un atto mortis causa e deve essere completo di tutti gli elementi necessari alla sua validità. Tra quelli essenziali ritroviamo:

  • la volontà, che deve essere dichiarata per intero nel documento;
  • la causa, dato che l’atto avrà effetti e sarà valido a partire dal momento della redazione, ma diverrà efficace solo in seguito alla morte del testatore;
  • i soggetti, distinguendo tra la figura del testatore, in quanto il testamento è un atto unipersonale e unilaterale, pertanto nessuno potrà sostituirsi ad esso; e la figura dei destinatari, ovvero le persone a cui è destinata l’eredità;
  • e la forma, che secondo l’ordinamento giuridico italiano può essere un atto di tipo pubblico, a cui appartengono le tipologie di testamento pubblico e segreto, o per scrittura privata, ossia la categoria di appartenenza del testamento olografo. Infine vi sono anche forme speciali previste dall’ordinamento e che vengono contemplate nella sezione del codice civile dall’articolo 609 fino al 619.

Tra gli elementi accidentali del testamento troviamo invece:

  • la condizione: elemento che può determinare i modi di esecuzione dell’atto e può indicare alcune limitazioni all’intero testamento o a singole disposizioni;
  • il termine: elemento che indica la data a decorrere dalla quale l’erede avrà diritto e la piena disposizione dei beni nominati nell’atto.

È sempre necessario fare testamento?

Il testamento deve essere realizzato con l’obiettivo di distribuire equamente tra gli eredi le proprie sostanze, evitando così inutili fraintendimenti e ripercussioni. Tra l’altro, la scrittura testamentaria sgrava gli eredi da eventuali costi derivanti dall’atto di divisione. Solitamente è consigliabile redigere il proprio testamento quando si è nel pieno delle proprie facoltà mentali, in maniera tale da evitare che sorga qualunque dubbio sullo stato di salute psico-fisica del testatore. Molto spesso, infatti, accade che a causa di quanto dichiarato nell’atto testamentario, sorgano contestazioni dovute ad una ripartizione non equa dei beni tra gli eredi, legittimando così l’impugnazione del testamento.

Ma quindi, quando è necessario? Il testamento diventa un contratto indispensabile nel momento in cui il testatore ha la necessità di conferire alcuni beni a determinati soggetti, come nel caso in cui un padre di famiglia decida di suddividere il proprio patrimonio con quote riservate: ad esempio dichiari che al primogenito spettino i due terzi dell’eredità, mentre alla compagna solo un terzo; oppure desidera indicare beni che possono spettare solo a quel determinato erede: ad esempio al primogenito spetta l’intero ammontare del conto corrente e titoli investiti del valore di X mila euro, mentre alla compagna la casa di proprietà. In questi casi, le volontà del testore hanno prevalenza sulla normativa.

Uno dei casi in cui non è necessario fare testamento potrebbe riguardare la morte improvvisa di un genitore e quindi la numerosità dei soggetti coinvolti nell’eredità: infatti se un genitore viene a mancare e non ha dichiarato per iscritto le proprie volontà, allora l’eredità verrà equamente divisa tra il coniuge e i figli, così come verrebbe praticato dalla nostra normativa. Infatti, la normativa italiana in tema di testamento stabilisce delle quote di successione in assenza dell’atto testamentario, suddividendo in varie possibilità: presenza/assenza sia del coniuge che degli eredi oppure presenza di legittimari.

Tipologie di testamento

Come anticipato, tra le tipologie di ordine pubblico ritroviamo:

  • testamento pubblico, ossia quello redatto in presenza di un notaio e di due testimoni, diversi dagli eredi e privi di interessi nei confronti dell’atto;
  • testamento segreto, il quale deve essere stilato dal testatore e consegnato in custodia al notaio. Tale tipologia di testamento risulta essere una via mezzo tra quello pubblico appena descritto e il testamento olografo.

Mentre l’unica tipologia testamentaria avente natura di scrittura privata risulta essere il testamento olografo, ossia quel testamento redatto a mano, senza l’utilizzo di dispositivi come computer o macchina da scrivere, che definisce le volontà del testore.

FONTE:

TESTAMENTO – Cos’è e quante tipologie esistono
RESPONSABILITA’ CIVILE DEL COMMITTENTE – Rischio interferenziale con Appaltatore

RESPONSABILITA’ CIVILE DEL COMMITTENTE – Rischio interferenziale con Appaltatore

IL CASO – Autore: Fabrizio Mauceri

ASSINEWS 325 – dicembre 2020     

Premessa
Nella prassi quando il committente incarica l’appaltatore si dovrebbe liberare del rischio inerente alla sicurezza ed alla tutela dei luoghi di lavoro, in seguito alla gara d’appalto, a meno che i lavori non rientrino nella cosiddetta tipologia dei lavori edili di lunga durata. In questo secondo caso infatti il committente deve nominare un responsabile della sicurezza ai sensi del d. lgs. 81/2008 e deve vigilare affinché l’appaltatore rispetti la normativa antinfortunistica.

Ma è solo questo il caso in cui il committente (leggi ente appaltante) concorre con l’appaltatore nel rischio che gli infortuni sul lavoro gravino in termini di responsabilità su entrambi? Ci sono dei casi infatti in cui la tipologia dell’appalto e dei lavori non rientra nella definizione di lavori edili di lunga durata, ma possono sussistere delle situazioni in cui il committente può essere chiamato in causa comunque? Vediamo questo caso concreto.

Il fatto
Una azienda di 15 dipendenti sta attraversando un periodo piuttosto florido del business. Per far fronte all’aumento degli ordinativi e del fatturato ha appena terminato di costruire un ampliamento del fabbricato ed ha ordinato un nuovo impianto produttivo.

Per il montaggio e collaudo è stata incaricata una ditta specializzata tramite un contratto ad hoc. In seguito all’entrata in funzione del nuovo macchinario era stata prevista anche l’assunzione di nuovo personale. Nelle fasi di installazione dell’impianto il committente fornisce alcuni DPI (dispositivi di protezione individuali) come strumenti di protezione acustica.

Inoltre viene nominato un responsabile della sicurezza della ditta medesima con incarico di controllare l’utilizzo del permesso di fuoco nelle saldature e l’esecuzione dei lavori. Il suddetto responsabile interviene in molte occasioni relativamente alle modalità di esecuzione dei lavori. Durante una fase di saldatura, cade una bombola a pressione che non era stata ancorata correttamente secondo le procedure.

La bombola spinta violentemente dalla pressione parte come un razzo urtando violentemente un dipendente della ditta installatrice e uccidendolo sul colpo. Entrambe le imprese finiscono sul registro degli indagati in merito all’omicidio colposo dell’operaio. A questo punto si apre la strada di una rivalsa INAIL e di una richiesta di danni differenziali anche nei confronti del committente?

La polizza
È una classica polizza retail che assicura gli artigiani con più sezioni. La polizza è abbastanza completa, ma manca qualsiasi riferimento all’estensione dei danni derivanti da committenza ai sensi del d. lgs 81/2008 e successive modifiche.

La posizione della compagnia del committente
La compagnia respinge il sinistro in quanto il dipendente infortunato non è alle dipendenze dell’assicurato ed in quanto in polizza non è presente alcun richiamo all’estensione alla RC della committenza ai sensi del d. lgs 81/2008 e successive modifiche.
Il committente è civilmente responsabile del sinistro o c’è una responsabilità esclusiva del datore di lavoro del lavoratore deceduto? Vediamo qui di seguito come stanno le cose.

Cos’è il rischio interferenziale
È il rischio derivante dalle possibili interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione di un lavoro e/o opera. È possibile infatti che al di là di quanto disciplinato dal contratto di appalto ci siano delle sovrapposizioni ed interferenze tra il committente, gli appaltatori e/o i vari lavoratori autonomi che intervengono nell’opera.

È possibile parlare di interferenza ogni volta che si verifichi un “contatto rischioso” tra il personale del datore di lavoro committente e quello dell’appaltatore o tra il personale di imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti. In linea di principio, in altre parole, occorre mettere in relazione i rischi presenti nei luoghi in cui verrà espletato il lavoro, servizio o fornitura con i rischi derivanti dall’esecuzione del contratto.

Diritto
Il d. lgs. 81/2008 integrato dal d. lgs 106 2009 ha in gran parte sostituito le leggi n. 626 del 1994 e n. 494 del 1996. Nella normativa in vigore sono stabiliti i principi che devono essere osservati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nell’ambiente di lavoro. Nell’impianto legislativo in vigore sono poi disciplinate tutte le norme relative alla comunemente detta committenza lavori edili di lunga durata ripartendo le varie responsabilità tra committente ed appaltatore.

Nella fattispecie qui delineata non siamo di fronte a lavori edili di lunga durata e pertanto a prima vista sembrerebbe non sussista una responsabilità civile del committenza ai sensi del d. lgs. 81/2008. Come abbiamo visto poc’anzi sulla definizione di rischio interferenziale possiamo però affermare che vista la descrizione degli eventi è difficile sostenere che non ci sia una interferenza da parte del committente nella esecuzione dei lavori da parte dell’appaltatore. E questa interferenza finisce per rendere solidale la rispettiva responsabilità in seguito all’infortunio e la piena applicabilità del d. lgs 81/2008

La giurisprudenza che andiamo a citare è di un caso diverso rispetto a quello esemplificato, ma molto simile nella sostanza. Trattasi della sentenza della cassazione n. 5113 del 7 febbraio 2020. In questo caso viene stabilito il principio che il rischio interferenziale incide sulla gestione della sicurezza e la tutela del lavoratore e quindi ogni qualvolta sussiste una interferenza tra committente ed appaltatore permane un corresponsabilità di entrambi.

Nel caso di specie infatti veniva rilevato che, l’azienda committente aveva preso l’obbligo di fornire degli strumenti per garantire la sicurezza dei lavoratori delle ditte appaltatrici operanti nell’ambiente di lavoro e di conseguenza di coordinarne l’uso. In secondo luogo era stato rilevato che i lavori eseguiti dalla ditta appaltatrice, che era poi anche il datore di lavoro del lavoratore deceduto, presentavano un rischio che non poteva essere ascritto esclusivamente a carico della ditta medesima in quanto tutti i lavori di esecuzione della costruzione comportavano un rischio intrinseco agli ambienti di esecuzione quali il rischio di sviluppo di fumi e di incendi in luoghi chiusi, angusti e stretti.

In questo contesto venivano poi dimostrate ingerenze nell’esecuzione dei lavori da parte di personale del committente oltre che di quello delle altre imprese coinvolte nella costruzione. Conseguentemente la sentenza citata stabiliva che in materia di infortunio sul lavoro, pur in presenza di un contratto di appalto, quest’ultimo non solleva da precise responsabilità il committente se questo assume una partecipazione attiva alla realizzazione dei lavori e/o nella conduzione e realizzazione dell’opera.

In questo caso infatti rimane anch’esso destinatario dei medesimi obblighi cui è destinatario l’appaltatore compreso quello di controllare la sicurezza del luogo di lavoro e quindi del cantiere. Quindi nel caso di specie, condanna in solido appaltatore e committente per il decesso del lavoratore.

Conclusione
Il caso specifico è piuttosto emblematico nel dimostrare come sia facile trovare delle scoperture assicurative in ambiti in cui questo non dovrebbe succedere. Il fatto narrato riguarda un’azienda produttiva, pensiamo invece a quello che potrebbe succedere nel mondo delle costruzioni, dove la infinita catena di appalto e subappalto intreccia attività diverse che interferiscono l’una con l’altra.

In questo settore esistono ad esempio imprese con elevati fatturati e pochi dipendenti che subappaltano a terzi il grosso dei lavori e che si limitano molto spesso solo a dirigere i lavori. Ma è proprio in questa attività di direzione che il rischio interferenziale si manifesta in tutta la sua pericolosità. Rimane pertanto centrale nell’attività dell’intermediario fare una corretta analisi di rischio e vendere il prodotto più idoneo alle esigenze dell’assicurato.

FONTE:

INFORTUNI PROFESSIONALI ED EXTRAPROFESSIONALI

ASSINEWS 325 – dicembre 2020 – Autore: Michele Borsoi

Premessa
A volte sorge il dubbio per gli assicurati nella scelta tra la copertura del rischio di infortunio professionale e quello extraprofessionale. Per chi fosse difronte a questa scelta si consiglia di esaminare con attenzione cosa l’assicuratore intende per rischi extra-professionali.

Il fatto
Un operaio è assicurato presso l’INAIL per la sua attività lavorativa svolta alle dipendenze di una società edile, mentre con un’impresa di assicurazione privata ha stipulato una polizza contro il rischio di infortunio extraprofessionale. Una domenica, invitato dal vicino, lo aiuta a riparare il tetto, mette un piede in fallo e precipita al suolo rimanendo purtroppo invalido in maniera permanente nella misura del 50% per la perdita di parte della capacità motoria delle gambe.

Domande
a) Sarà indennizzato dalla sua polizza di assicurazione privata in quanto l’infortunio è occorso fuori dall’orario di lavoro?
b) Sarà indennizzato dall’INAIL?
c) Non sarà indennizzato in nessuno dei due casi?

L’INAIL indennizza solo gli infortuni occorsi durante la sola attività professionale e, quindi, la risposta b) è sicuramente errata. Proseguiamo nella analisi del caso per esaminare le restanti domande.

Si è portato il caso di una di riparazione del tetto:
• di che portata?
• qualche tegola o l’intera copertura?
• con gettate di cemento o solo con sostituzione di qualche travetto?

È necessario chiarire cosa si deve intendere per attività extraprofessionale, perché è quella – e solo quella – che la polizza privata copre. Se si tratta di una semplice riparazione (qualche tegola, una semplice infiltrazione di acqua piovana, la sistemazione dell’antenna televisiva…) il sinistro sarà probabilmente riconosciuto come extraprofessionale in quanto l’operaio stava svolgendo un’attività alla portata di tutti.

La risposta c) sarà pertanto da considerarsi esatta solo se l’impresa di assicurazione privata dimostrerà che la riparazione era, ad esempio, di straordinaria manutenzione di uno stabile, così da considerare il lavoro come non comune, non da tutti, con uso di strumenti ed attrezzature professionali. Le argomentazioni ed i casi fin qui esposti rappresentano una precisa osservazione di come concepisce la tecnica assicurativa la distinzione tra rischio professionale e rischio extraprofessionale.

La miglior soluzione quindi sarebbe quella di disporre di copertura completa (24 ore su 24) comprendente rischi professionali ed extraprofessionali, indicando l’attività principale ed ogni altra attività svolta nel tempo libero comportante remunerazione, anche occasionale. In questo modo il premio di polizza potrebbe essere maggiore, ma l’assicurato potrà disporre di un indennizzo certo, senza dover ricorrere a liti giudiziarie per stabilire l’operatività della copertura.

Riepilogando
• Copertura del solo rischio extraprofessionale concedibile solo ad assicurati che lavorano alle dipendenze di terzi e possono dimostrare l’orario di lavoro.
• Sono assicurate nel rischio extraprofessionale tutte le attività normali della vita comune.
• Nel rischio extraprofessionale sono escluse le attività artigianali.
• A maggior chiarimento non è compresa alcuna attività remunerata.

Nei casi incerti indicare oltre all’attività principale anche l’attività secondaria anche se svolta senza fini di lucro. Si precisa che nel caso di specie, risultando invalido solo nella misura del 50% viene meno anche l’eventuale pensione di inabilità concedibile dall’INPS; questa interviene solo se la capacità di lavoro è annullata o ridotta a meno di un terzo.

FONTE:

INFORTUNI PROFESSIONALI ED EXTRAPROFESSIONALI