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Category: Oro LBMA

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ORO E PETROLIO: dove porta la parabola delle materie prime

Dopo la caduta di azioni e bond, le commodity sono state la sola classe di attivo a offrire un rifugio. Secondo gli esperti, hanno davanti un nuovo anno positivo. Nel 2022 le materie prime sono state fra le massime protagoniste. Alcune, a causa della guerra in Ucraina, sono state fra le poche componenti di portafoglio ad aver segnato dei rialzi. Tuttavia l’entrata in scena del superdollaro ha gradualmente colpito le commodity, che sono in larga parte scambiate tramite la valuta americana ed essa inversamente correlate. L’indice delle Core commodity Crb, tuttavia, è fra i pochi a rimanere (attorno a metà novembre) in territorio ampiamente positivo dall’inizio dell’anno – anche se con un deciso ribasso rispetto al picco di giugno. “Tale spossatezza è stata attenuata, da un lato, dall’offerta, resa più rigida da oltre un decennio di bassi investimenti, nonché dalle continue interruzioni dovute a guerre e condizioni meteorologiche”, ha dichiarato a We Wealth il market analyst di eToro, Gabriel Debach. “Con un dollaro ora troppo dominante”, ha aggiunto, “un’eventuale discesa del biglietto verde rappresenta un volano per le quotazioni delle materie prime: ciò può rappresentare la vera differenza per il 2023”.

Oro che luccica?

In particolare, come reagirà l’oro? “Per prima cosa bisogna prevedere quali saranno le prossime mosse della Federal Reserve in politica monetaria per avere un’idea sulla forza del dollaro. La correlazione negli ultimi mesi è stata quasi pari a -0,90, ovvero a un marcato rialzo del dollaro corrispondeva un pesante ribasso delle quotazioni dell’oro”, ha dichiarato a We Wealth Filippo Diodovich, senior market strategist IG Italia, “le nostre previsioni sulle mosse della Federal Reserve per il 2023 sono fissate per un rialzo moderato dei tassi di interesse almeno fino a metà anno quando raggiungeranno circa il livello del 5% per poi possibilmente diminuire.

Le quotazioni dell’oro potrebbero, quindi, tornare a crescere soprattutto nella seconda metà dell’anno e recuperare gran parte delle perdite evidenziate tra marzo e ottobre del 2021. Stesso discorso anche per l’argento che ha un andamento molto simile all’oro”. Sostanzialmente rialzista anche il consulente e fondatore di Dld Capital Scf, Edoardo Fusco Femiano, che concorda sul fatto che la debolezza dei metalli preziosi sia dovuta al superdollaro e che, sulla base di un’analisi storica, dovrebbero beneficiare del contesto di alta inflazione, “basti pensare che l’oro, nel periodo 1973 – 1981, si è apprezzato di circa il 585% e, nel periodo 2001 – 2012, di oltre il 600%. Ovviamente, questi rally avvengono in presenza di alta volatilità”, da considerare nella messa a punto del portafoglio. L’analista di eToro, Gabriel Debach, fra i possibili fattori favorevoli, in aggiunta a quelli fin qui citati, ha ricordato anche “la decisa domanda all’interno del settore dei gioielli e l’evoluzione asiatica con India e Cina in testa, a rappresentare un importante volano nelle quotazioni” del metallo giallo: “sarà pertanto fondamentale continuare ad assistere alle prossime decisioni cinesi in tema di Covid-19”.

Materie prime energetiche

Quanto alle commodity energetiche e industriali, “fino al 2020 venivamo da oltre un decennio nel quale le materie prime industriali, al pari di quelle agricole, avevano fondamentalmente distrutto valore sui portafogli, sia per le performance negative che per la loro volatilità. Dal 2021 questa dinamica si è invertita”, ha affermato Fusco Femiano, Volendo allargare lo sguardo sul piano storico, dobbiamo ricordare che in periodi di alta inflazione le commodities industriali hanno generato rendimenti importanti, spesso a fronte di un mercato azionario nel debole”, ha proseguito il consulente, per il quale “nel prossimo futuro, potremmo assistere al permanere di una sovraperformance delle commodity rispetto all’azionario”.

Per quanto riguarda il petrolio, la visione di IG Italia rimane “neutrale”, considerando che eventuali cali della domanda dovrebbero essere equilibrati dai paesi del cartello Opec+ con ulteriori tagli della produzione. “Sarà determinante valutare le possibilità di crescita dei Paesi importatori di greggio per misurare la domanda globale”, ha affermato Diodovich e “l’aumento delle attese su una probabile recessione economica di molti paesi occidentali ha spinto le quotazioni del petrolio a scendere anche in area 75 dollari al barile a fine settembre”. Più rialzista la visione di Debach, per il quale l’attenzione si sposterà su fattori come la ricostruzione delle riserve strategiche Usa, ai minimi di 38 anni. L’embargo imposto dall’Europa il 5 dicembre sulle importazioni di petrolio dalla Russia la porterà a cercare 1,5 miliardi di barili di prodotto altrove. Infine, la partita sul gas naturale. “Una volta risolto il rischio di questo inverno, ci si potrebbe auspicare fondamentali più morbidi in grado di riportare la curva in contango”, ha affermato Debach, per il quale “resta tuttavia presente il rischio gas europeo, con gli Usa che hanno sopperito alla minore fornitura di gas russo con l’offerta Gnl, raddoppiando le vendite in Ue, con una quota del 44% sul totale di acquisti nei primi nove mesi del 2022. Vista una possibile ripresa della domanda asiatica e con lo scandalo degli acquisti europei di Gnl russo, aumentati del 46% da inizio anno e di difficile riproduzione nel 2023, i rischi restano maggiormente presenti”, ha affermato l’analista di eToro.

Visione rialzista sul gas, infine, anche per IG Italia, pur nella difficoltà al momento attuale di valutare le contromisure della Commissione Ue: “Crediamo che i problemi sulle forniture saranno ancora presenti e i paesi europei dovranno fare il possibile per aumentare le capacità ricettive di gas liquefatto”, ha dichiarato Diodovich, “tenendo conto delle interruzioni nella catena distributiva legate alle sanzioni alla Russia crediamo che i prezzi torneranno a salire notevolmente con il peggioramento delle condizioni meteorologiche”.

FONTE:

ORO E PETROLIO: dove porta la parabola delle materie prime
ORO – Alla ribalta. Torna di moda il metallo giallo

ORO – Alla ribalta. Torna di moda il metallo giallo

Da una parte ci siamo ritrovati, in questa settimana, con banche centrali che si sono dimostrate molto più aggressive di quanto si poteva pensare. E forse anche molto più di quanto era necessario. Il risultato è stato davanti agli occhi di tutti gli amici lettori del blog. Borse in discesa, bond in difficoltà, volatilità in aumento.

Tutto può sembrare normale, in un contesto di tensione macroeconomica con inflazione in rallentamento ma sempre importante, e con una recessione che si sta trasformando pian piano in realtà. Ma una cosa sorprende in questo contesto. Proprio l’atteggiamento delle banche centrali.

No, non parlo di tassi di interesse questa volta, ma di bilancio e di asset.
Infatti anche se nel 2023 non è stato cosi eccelso a livello di performance, possiamo però dire che l’oro è stato protagonista quantomeno a livello di acquisti. Infatti le banche centrali hanno accumulato oro ad un ritmo sempre maggiore. Se facciamo due calcoli risulta che rispetto allo scorso anno, il numero di tonnellate presenti nelle disponibilità degli istituti centrali di tutto il mondo è cresciuto di oltre 700 unità. Top buyer la Turchia che se n’è incamerato ben 103 tonnellate con la sua banca centrale, finendo per essere il maggiore compratore dell’anno.

Ora, lasciando da parte la statistica, ci viene da chiedere PERCHE’ le banche centrali stanno comprando oro a man bassa. Il motivo è chiaro: occorre migliorare la qualità del bilancio.

Seconda cosa: come mai con questo tenore di acquisti l’oro non si è mosso sui mercati? E qui si scatena una tematica difficile da interpretare: che ci sia lo zampino della Russia che ha venduto oro alla Turchia a prezzi concordati per evitare un aumento considerevole dei corsi? Questo non posso saperlo. Intanto ricordiamo cosa dovrebbe dare, oggi, un’esposizione sul metallo giallo: in primo luogo, è una protezione sulla volatilità geopolitica e dei mercati. Sicuramente proprio questi elementi hanno contribuito a far aumentare le scorte di questo metallo, notoriamente considerato un bene rifugio durante i periodi di turbolenza economica.

E poi non dimentichiamo che nel lungo termine, l’oro è sempre stato un asset protettivo contro l’inflazione. E visto che nel lungo termine si prevede un’inflazione maggiore e normalmente più alta, le banche centrali preferiscono comprare oro anzichè detenere un mix di valute che spesso possono essere lo specchio di governi ed economie non così brillanti in questo momento.

FONTE:

ORO – Mercati – l’oro torna sugli scudi. Ecco perchè

Quest’anno il Natale è arrivato in anticipo per l’oro. Certo, l’oro è ancora in calo di oltre il 3% su base annua, ma è difficile non entusiasmarsi per un movimento di 135 dollari l’oncia (8,3%) in un solo mese”. A farlo notare è Joe Foster, Portfolio Manager, Gold Strategy di VanEck, che di seguito illustra nel dettaglio la view sul lingotto per i prossimi mesi.

Si tratta quindi di un regalo di Natale anticipato, soprattutto se si considera che questa mossa riporta l’oro all’interno del trend rialzista di lungo periodo in atto dal 2016. L’oro è uscito da questa tendenza a metà settembre di quest’anno, quando era negoziato al di sotto del supporto a lungo termine di 1.680 dollari l’oncia. Sebbene vulnerabile a questi livelli, il prezzo dell’oro ha mostrato una certa resistenza, sostenuta dalla forte domanda fisica, e si è mantenuto saldamente intorno al livello di 1.650 dollari.

Nei primi giorni di novembre, una serie eclettica di notizie, tra cui la decisione di rialzo dei tassi del Federal Open Market Committee (FOMC), il rapporto sui posti di lavoro e le elezioni di medio termine statunitensi, ha portato alla debolezza del dollaro americano, che ha spinto l’oro al rialzo. Il 10 novembre, l’indice dei prezzi al consumo (CPI) negli Stati Uniti si è attestato al 7,7% su base annua, leggermente al di sotto delle aspettative e inferiore al mese precedente (8,2%). Questo ha dato ai mercati rinnovate speranze che la Federal Reserve statunitense (Fed) possa presto rallentare il ritmo dei rialzi dei tassi, facendo scivolare il dollaro e aiutando l’oro a raggiungere i 1.786 dollari l’oncia il 15 novembre. L’ultimo giorno del mese, durante il suo discorso alla Brookings Institution, il presidente della Fed Jerome Powell ha messo un punto fermo segnalando che la Fed potrebbe rallentare il ritmo degli aumenti dei tassi già a dicembre. L’oro ha risposto chiudendo a 1.768,52 dollari l’oncia il 30 novembre.

Le azioni dell’oro hanno fatto un bel giro sulla slitta di Babbo Natale a novembre. L’NYSE Arca Gold Miners Index (GDMNTR) è cresciuto del 19,0%, mentre l’MVIS Global Junior Gold Miners Index (MVGDXJTR) è del 19,4%. Questa forte sovraperformance dei titoli azionari auriferi nel corso del mese dimostra sia la loro leva rispetto al prezzo dell’oro, sia quanto siano stati ipervenduti negli ultimi due anni, sia storicamente che  rispetto al prezzo dell’oro. Nonostante la recente inflazione dei costi, che quest’anno ha colpito duramente le società estrattive aurifere, il settore rimane redditizio. Agli attuali prezzi dell’oro, i produttori di oro godono di margini sani, generando un flusso di cassa libero sostanziale che consente loro di continuare a pagare i dividendi e finanziare la crescita futura.

Sfide di crescita per le società estrattive aurifere

La crescita è difficile da ottenere nel settore dell’oro. Non è solo una questione di accesso al capitale. Le principali società estrattive aurifere dispongono di molta liquidità. È piuttosto una questione di accesso a grandi ed economici depositi d’oro, che, come dimostrano le recenti attività di fusione e acquisizione del settore, non sono facili da ottenere. Questo mese abbiamo visto due produttori d’oro, Agnico-Eagle (9,46% del patrimonio netto della strategia) e Pan American Silver (non detenuta dalla strategia) unirsi per lanciare un’offerta concorrente contro Gold Fields (non detenuta dalla strategia) per l’acquisizione di Yamana Gold (non detenuta dalla strategia).

L’offerta di Agnico/Pan American aveva un elemento contro cui era molto difficile competere: la transazione vedrebbe Agnico-Eagle consolidare la proprietà della miniera canadese di livello 1 di Malartic, attualmente detenuta al 50% da Yamana e al 50% da Agnico. Parliamo spesso di quanto sia frammentato il settore dell’oro, ovvero di troppi piccoli asset in troppe mani. Il controllo da parte di Agnico del 100% della canadese Malartic ha un senso: è un gioco da ragazzi! Pan American acquisirà gli asset di Yamana in America Latina, che si inseriscono naturalmente nel suo portafoglio di otto miniere produttive nella regione. Gli asset sudamericani di Yamana sarebbero stati una forzatura per Agnico, che attualmente non vi opera, per cui l’acquisizione di una partnership è logica. L’offerta di Gold Fields, invece, pur creando una major aurifera di maggiori dimensioni, che riteniamo vantaggiosa, era appesantita da altri rischi che l’hanno resa difficile da digerire per gli investitori. Ciò illustra le sfide che i produttori d’oro devono affrontare nel perseguire la crescita. In un settore con così tante fonti di rischio, gli investitorisi aspettano che le acquisizioni non solo garantiscano la crescita della produzione e la creazione di valore, ma anche una significativa riduzione del rischio. Gold Fields è una società ben gestita, con buone attività, che ora ha davanti a sé un nuovo inizio (e un’interessante commissione di interruzione) per soddisfare le sue aspirazioni di crescita. Questo mese abbiamo partecipato alla giornata degli investitori di Barrick Gold (5,76% del patrimonio netto della strategia) alla Borsa di New York. Le presentazioni di Barrick hanno puntato i riflettori sull’altra faccia della crescita, quella organica, preferita dalla maggior parte degli investitori, perché di solito ha un costo inferiore. Anche tenendo conto di tutti i recenti aumenti dei costi di capitale, l’aggiunta di once attraverso la trivella è l’opzione preferita, non da ultimo perché queste once sono spesso accompagnate da un rischio molto più basso. L’espansione della capacità o l’aumento della durata di vita di una miniera esistente o l’aggiunta di una nuova miniera a un distretto o a una regione operativa esistente riduce chiaramente i rischi associati. Siamo stati incoraggiati dall’ampia pipeline di progetti e dai terreni altamente prospettici che, a nostro avviso, potrebbero continuare a guidare la crescita di Barrick per i decenni a venire.

I rischi di mercato mantengono l’oro in posizione di secondo piano

Nel mondo delle criptovalute, il Grinch ha rubato il Natale in anticipo! L’improvviso crollo di FTX solleva molti interrogativi sull’intero ecosistema delle criptovalute e crea molta incertezza in quella che è ancora una asset class abbastanza nuova. Forse non dovrebbe sorprenderci il fatto che, mentre questo settore cresce, inventa e si definisce, ci saranno alcune vittime. Spesso ci viene chiesto quale sia l’impatto del bitcoin sulla domanda di oro, dal momento che entrambi sono visti come investimenti alternativi. Senza dubbio, l’oro ha probabilmente perso alcuni investitori a favore del bitcoin. Tuttavia, riteniamo che gli investitori principali in oro siano generalmente molto diversi da coloro che investono in bitcoin. Di solito, chi investe in oro cerca infatti il rifugio sicuro, la protezione dall’inflazione e la diversificazione del portafoglio, vantaggi che l’oro ha storicamente offerto, anche se l’investimento in oro comporta dei rischi. È chiaramente troppo presto per dire quale ruolo  avranno il bitcoin e le criptovalute in un portafoglio, e gli sviluppi di questo mese rappresentano una battuta d’arresto nel processo di scoperta. Finché questo non sarà compreso meglio e corroborato nel tempo, le criptovalute avranno difficoltà a rubare gli investitori all’oro.

Quest’anno il vero contendente dell’oro è stato il dollaro statunitense. Gli investitori devono decidere se detenere oro per proteggere il proprio portafoglio dall’inflazione elevata e dalle tensioni geopolitiche o se ridurre le proprie disponibilità in seguito all’aumento dei tassi d’interesse globali. In un contesto di tassi in aumento e di prospettive di inflazione più basse a seguito dei programmi di restrizione monetaria della Fed e di altre banche centrali, gli investitori hanno scelto la sicurezza del dollaro americano, spingendolo ai massimi di 20 anni. È stato proprio questo il maggiore ostacolo per l’oro quest’anno. L’U.S. Dollar Index (DXY)3 è sceso del 5% a novembre. L’oro ha interrotto la sua recente tendenza al ribasso scambiando ben al di sopra di 1.700 dollari l’oncia e ora sembra che possa rientrare nel trend rialzista di lungo periodo in atto dal 2016. Si tratta di uno sviluppo significativo per l’oro.

Oro: è tornato in carreggiata con il suo trend rialzista di lungo periodo?

Si può prevedere che l’oro continuerà a scambiare intorno alla fascia tra i 1.700 e i 1.800 dollari l’oncia nel breve termine. Se l’inflazione si mantiene sui livelli attuali o quasi, è probabile che i tassi reali rimangano in territorio negativo e ci aspettiamo che questo sostenga l’oro. Una pausa del programma di inasprimento della Fed sarebbe probabilmente un forte catalizzatore per l’oro. Tuttavia, l’oro potrebbe guadagnare anche prima di una pausa o di una svolta della Fed. La recente azione del prezzo dell’oro a seguito del rapporto CPI di ottobre ne è un perfetto esempio. L’oro è esploso quando il mercato ha anticipato che gli aumenti dei tassi della Fed potrebbero presto iniziare a rallentare. Anche l’oro ha registrato un’impennata prima di una pausa della Fed durante l’ultimo ciclo di inasprimento.

FONTE:

ORO – Mercati – l’oro torna sugli scudi. Ecco perchè
ORO PREVISIONI – Anno 2023 a 3.000 dollari, ecco perché il metallo torna a brillare

ORO PREVISIONI – Anno 2023 a 3.000 dollari, ecco perché il metallo torna a brillare

L’oro arriverebbe a 3,000 dollari l’oncia nel 2023, almeno stando alle previsioni di Saxo Bank. Vediamo le ragioni di questo boom.

di Giuseppe Timpone , pubblicato il 13 Dicembre 2022 alle ore 09:28

Secondo le previsioni del commodity strategist della banca danese Saxo Bank, Ole Hansen, il prezzo dell’oro nel 2023 raggiungerà i 3.000 dollari l’oncia. Per Frank Holmes di US Global Investors, sarebbe pure poco: il metallo arriverà anche a 4.000 dollari entro 12-18 mesi. E dire che il 2022 non è stato un anno brillante per il bene rifugio per eccellenza. Le quotazioni sono tornate appena ai livelli di inizio gennaio, oscillando intorno ai 1.800 dollari. Certo, in euro e altre principali valute mondiali l’apprezzamento c’è stato, dato che il dollaro si è rafforzato nel corso dell’anno. Ad ogni modo, la delusione resta. In un periodo di alta inflazione, l’oro dovrebbe performare molto bene.

C’è da dire che ad avere pesato sul trend negativo c’è stato proprio l’apprezzamento del dollaro, il quale rincara il costo per gli acquirenti non americani. Per non parlare dell’esplosione dei rendimenti obbligazionari. Essendo un asset senza cedola, esso subisce la concorrenza dei bond.

Corsa all’oro delle banche centrali

Ma il 2023 può diventare un anno d’oro nel senso letterale del termine, almeno stando alle previsioni. Ad esempio, nel terzo trimestre le banche centrali hanno acquistato 393,3 tonnellate nette, il dato più alto dalla fine di Bretton Woods. In dieci mesi, i loro acquisti sono risultati di 704 tonnellate. Per la prima volta dal 2019, poi, la Banca Popolare Cinese ha aggiornato il suo dato sulle riserve auree, salite di 32 tonnellate a 1.980 tonnellate.

Il 2021 è stato il dodicesimo anno di acquisti netti consecutivi da parte delle banche centrali per complessivi 5.692 tonnellate. Includendo i numeri di quest’anno, dovremmo salire ad almeno 6.400 tonnellate. Cosa spiega questo trend? Di certo, con la crisi finanziaria mondiale del 2008 si è rotta la narrazione in base alla quale l’oro fosse diventato un asset obsoleto, destinato ad essere soppiantato dagli investimenti finanziari e in valuta.

Nel primo decennio del nuovo millennio, ad esempio, la Banca Nazionale Svizzera era stata un venditore netto pesante di metallo. Chissà con quali tormenti, a posteriori.

Previsioni oro dopo pandemia e guerra

Tra pandemia e guerra, le notizie a favore dell’oro non hanno fatto che aumentare. In primis, perché sembra che la globalizzazione come l’abbiamo conosciuta negli ultimi trenta anni sia arrivata al termine. Le lunghe catene di produzione sono risultate ingestibili dinnanzi a imprevisti e tensioni geopolitiche. Il loro accorciamento presuppone la rilocalizzazione delle produzioni in prossimità dei mercati di sbocco, dove verosimilmente i costi saranno maggiori. Di fatto, si va componendo uno scenario di reflazione strutturale.

E le sanzioni dell’Occidente contro la Russia hanno svelato il falso mito del dollaro porto sicuro per chicchessia e sempre. Da un momento all’altro, i capitali di stati “nemici” possono essere bloccati e sequestrati. Se così, viene già meno l’impulso per magnati e fondi sovrani di esportare i loro capitali in un Occidente a rischio per via di possibili screzi tra governi. Ed ecco che nell’uno e nell’altro caso, la soluzione sembra essere quella di puntare sull’oro come bene rifugio.

La Russia possiede non a caso circa 2.300 tonnellate di oro, quinta al mondo dopo Stati Uniti, Germania, Italia e Francia. I cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) nel totale arrivano a circa 6.315 tonnellate. Paesi come la Turchia comprano metallo anche in piena crisi della bilancia dei pagamenti. Insomma, il pianeta non solo non segnala alcuna volontà di abbandonare l’oro, ma anzi torna a puntarci con maggiore forza e nella consapevolezza dell’assenza di alternative credibili a lungo termine.

giuseppe.timpone@investireoggi.it 

FONTE:

ORO, MERCATI: I quattro fattori da monitorare nel 2023

L’oro ha attraversato nel corso dell’anno diverse fasi: in principio, da gennaio ad inizio marzo è passato da 1790 a 2050 dollari l’oncia, per poi iniziare a perdere valore fino a 1600 dollari l’oncia e attestarsi nuovamente nelle scorse settimane sui valori di inizio anno.

Alla luce di tale andamento, quali possibili prospettive per l’oro? “Sono quattro, a nostro avviso, i fattori che hanno influenzato e continueranno a incidere sui prezzi dell’oro”, afferma Marco Mencini, Senior Portfolio Manager Equity di Plenisfer Investments SGR, che di seguito le illustra e spiega nel dettaglio:

  1. Politiche monetarie: il rialzo dei tassi di interesse operato dalla banca centrale statunitense e da quella europea ha certamente esercitato una forte influenza ribassista sull’oro. Nonostante sia considerato storicamente il classico bene rifugio in situazioni di forte instabilità geopolitica ed inflazione crescente, il rialzo dei tassi ha reso nei mesi scorsi l’oro meno appetibile rispetto ai titoli di Stato, considerata la sua incapacità di generare reddito. Saranno pertanto da monitorare con attenzione le prossime mosse delle banche centrali.
  2. Andamento dollaro: l’apprezzamento del dollaro nel 2022 ha penalizzato il prezzo dell’oro che viene tipicamente acquistato in tale valuta. Infatti, il deprezzamento del dollaro delle ultime settimane ha sostenuto il rialzo del prezzo dell’oro. A generare la debolezza del dollaro sono le aspettative di una FED progressivamente meno aggressiva nella politica di rialzo dei tassi. In Plenisfer ci aspettiamo che l’attuale fase di rialzo dei tassi di interesse possa concludersi nella prossima primavera e che a tale fase possa seguirne una più “attendista” durante la quale la banca centrale americana monitorerà gli effetti sulla lotta all’inflazione delle proprie politiche monetarie prima di effettuare ulteriori aumenti. Non ci aspettiamo, invece, che durante tale fase “attendista” possano verificarsi i primi tagli dei tassi. In tale scenario, in cui il dollaro potrebbe aver già toccato i propri massimi, l’oro potrebbe ulteriormente apprezzarsi perché si ridurrebbe il costo opportunità di detenerlo.
  3. La crisi delle crypto valute: dopo due anni in cui era cresciuta, anche tra alcuni investitori istituzionali, la convinzione che le crypto valute potessero affermarsi come “asset class” alternativa all’oro, negli ultimi mesi si è riaffermata la loro valenza puramente speculativa alla luce della crisi in atto nel settore. Dopo la crescita a dismisura del loro valore fino a un picco di circa tremila miliardi di dollari di capitalizzazione totale nel 2021, il mondo delle criptomonete ha, infatti, progressivamente visto ridurre il proprio valore scendendo, dopo il recente default della piattaforma di exchange crypto FTX, sotto gli 800 miliardi. Tale crisi ha riportato l’attenzione sul “lingotto” che è tornato ad assolvere pienamente la funzione di bene rifugio con conseguente apprezzamento del proprio valore.
  4. Acquisti delle Banche Centrali: un altro fattore rialzista a supporto del prezzo dell’oro sono stati gli acquisti di riserve auree da parte delle banche centrali, particolarmente ingenti nei periodi in incertezza, come quello attuale.  Secondo l’ultimo rapporto del World Gold Council (WGC), si stima che, nel solo terzo trimestre del 2022, siano stati acquistati quasi 400 tonnellate di lingotti nel mondo, arrivando a toccare livelli di accumulo che non si vedevano da circa 50 anni. Anche questo aspetto sarà quindi da monitorare.

I trend in atto nell’ambito dei fattori descritti sembrano ad oggi indicare una direzione costruttiva per l’oro, ma la loro evoluzione dovrà essere monitorata con attenzione.  Un eventuale cambio dello scenario di riferimento, connesso per esempio al termine della crisi ucraina e al rientro progressivo dei prezzi delle materie prime energetiche, con ricadute positive sulle prospettive economiche e sui mercati finanziari, potrebbe invertire tali trend.

FONTE:

ORO, MERCATI: I quattro fattori da monitorare nel 2023
ORO – Fase di consolidamento sopra 1.755 – 1.750 dollari

ORO – Fase di consolidamento sopra 1.755 – 1.750 dollari

Oro: fase di consolidamento sopra 1.755-1.750 dollari
di Alberto Micheli

Mattinata con pochi spunti per il Gold future, che ha comunque arrestato la correzione di ieri, preservando il supporto chiave a 1.755-1.750 dollari: in questo senso il quadro tecnico di breve si conferma costruttivo e proprio questa pausa di consolidamento può creare le condizioni ideali per una successiva estensione della dinamica rialzista. Anche l’analisi algoritmica descrive uno scenario positivo, con gli indicatori di tendenza allineati in posizione long e l’Rsi che staziona all’interno dell’area d’ipercomprato, mentre solo lo Stocastico ha iniziato una parziale correzione che per il momento rientra però nella logica dell’attuale fase accumulativa dei prezzi. Graficamente, un ritorno sotto 1.755-1.750 può smorzare lo slancio positivo delle ultime due settimane, ma un concreto segnale ribassista si avrebbe solo con una nuovo cedimento della base a 1.680-1.675.

FONTE:

ORO – Per UBS il 2023 sarà l’anno del ritorno

di Paola Valentini

Dopo un 2022 in cui il prezzo è stato altalenante per via del rialzo dei tassi, l’investment bank ritiene che il recente aumento dei prezzi continuerà anche l’anno prossimo grazie allo stop degli aumenti del costo del denaro da parte della Fed | Oro: recuperata la soglia chiave a 1.675-1.680 dollari | Oro, record di acquisti delle banche centrali

In questa ultima parte del 2022 il prezzo dell’oro ha rialzato la testa. E dai minimi di 1.630 dollari toccati il 3 novembre dopo i massimi di oltre 1.980 dollari di inizio marzo quando è scoppiata la guerra in Ucraina, il metallo giallo ha superato in due settimane quota 1.780 dollari, tornando vicino a 1.800 dollari anche se da inizio anno resta in ribasso del 4%. “L’oro sta lottando per fare il prossimo passo verso l’alto. Non è troppo sorprendente se si considera che questo è stato un importante livello di supporto da gennaio a luglio. Ciò che è incoraggiante è che non sta mostrando segni di rallentamento. I rimbalzi sono stati minimi e la pressione rimane verso l’alto. Una rottura di 1.780 dollari potrebbe essere il catalizzatore di un altro picco e sciogliere i dubbi sulla sostenibilità del rally”, afferma Craig Erlam, analista di mercato senior, Regno Unito e Emea di Oanda. E’ stato quindi un anno di saliscendi per le quotazioni dell’oro senza un andamento preciso. Ora ci si chiede se dopo la frenata dell’inflazione Usa, come emerso giovedì 10 novembre, che ha aperto le speculazioni su un possibile cambio di marcia della Fed sui tassi, la fase rialzista appena iniziata possa continuare anche nel 2023, anno che per diversi analisti sarà di stagflazione.

Il legame con i tassi

“Gli investitori hanno avuto sentimenti contrastanti nei confronti dell’oro nel 2022”, spiega Ubs per via di forze opposte: da una parte l’aumento dei tassi reali e un dollaro forte, due elementi ribassisti, e dall’altra un’inflazione elevata e alta incertezza macro, fattori rialzisti. Secondo Ubs nel 2023 le forze ribassiste verranno meno e “crediamo che sarà l’anno dell’oro per due motivi. In primo luogo, in un contesto di tassi in calo, l’oro tende a salire di circa il 19% per ogni 100 punti base calo dei tassi reali anche se c’è da tenere in conto l’effetto della domanda fisica”. Le stime di Ubs indicano una quotazione di 1.800 dollari nel primo trimestre 2023, di 1.825 dollari nel secondo, di 1.875 nel terzo e di 1.900 dollari a fine 2023.

Nel breve più incertezza

Dato che Ubs prevede che i Fed funds saranno probabilmente tagliati di 175 punti base nel secondo semestre 2023,  “riteniamo che l’oro dovrebbe trarne vantaggio e quindi tenere una posizione lunga sull’oro offrirebbe un vantaggio
rischio-rendimento al termine del ciclo di inasprimento”. Ma nel breve termine la cautela è d’obbligo. “Con la Fed che dovrebbe ancora inasprire la politica monetaria nel primo trimestre 2023, non possiamo escludere fattori contrari nei prossimi mesi. Il tentativo di scegliere il momento giusto per entrare è sempre complicato. Detto questo, pensiamo che qualsiasi debolezza dell’oro nei prossimi mesi dovrebbe offrire opportunità per posizionarsi in vista di un aumento alta dei prezzi nel corso di 2023, quando la Fed interromperà l’inasprimento e alla fine passerà a un atteggiamento più accomodante”, spuiega Ubs.

L’andamento dei tassi

L’investment bank ritiene che la Fed inizi a tagliare i tassi ufficiali nel secondo trimestre del 2023, dopo lo stop al ciclo rialzista a febbraio. “Questo sarebbe simile ai periodi precedenti negli anni ’80 e metà degli anni ’90, quando il

la Fed ha tagliato i tassi ufficiali 1-2 trimestri dopo l’ultimo rialzo dei tassi. Durante questi periodi, la perdita mediana dell’oro nel primo trimestre dopo l’ultimo rialzo dei tassi è stata di circa -2,6%; ma i prezzi alla fine sono rimbalzati di circa il 5% nei due trimestri successivi, ma mano che la Fed ha ricominciato a tagliare i tassi ufficiali”. Sulla stessa lungheaa d’onda Ned Naylor-Leyland, head of strategy, gold and silver, di Jupiter Am: “Una svolta accomodante delle banche centrali potrebbe innescare un rally dei prezzi dell’oro e dell’argento. La storia mostra che il momento migliore per comprare oro è quando le banche centrali sono sul punto di abbassare i tassi dopo un periodo di politica da falco”. Secondo l’esperto di Jupiter in questa ipotesi “l’oro tornerebbe probabilmente a salire verso il picco di 2.050 dollari toccato a marzo. Lo stesso livello è stato toccato nel 1980, nel 2011 e nel 2020 su base corretta per l’inflazione. Dato che il tempo necessario per raggiungere il picco ogni volta si è ridotto nel corso degli anni e che siamo relativamente vicini a quel livello, l’oro potrebbe sorprendere il mercato ed essere pronto a raggiungere nuovi massimi nei prossimi mesi”.

I tre fattori strutturali

Oltre al movimento dei tassi Usa, Ubs segnala tre motivi strutturali a favore dell’oro: gli investitori a lungo termine e le banche centrali stanno gradualmente costruendo allocazioni di oro. Le banche centrali in particolare sono state nette acquirenti di oro da più di un decennio, in una tendenza più ampia di diversificazione delle riserve denominate in dollari. Quest’anno, la guerra Russia-Ucraina e le relative sanzioni hanno rafforzato tale tema. Al terzo trimestre gli acquisti netti delle banche centrali sono già superiori ai massimi dell’intero anno precedente. In secondo luogo la proporzione delle disponibilità in oro rispetto alle attività complessive detenute da parte degli investitori istituzionali rimane bassa, a nostro avviso”. Terzo punto: “anche la forte domanda fisica è stata un fattore chiave che ha influenzato la relazione tra oro e tassi reali. Principali mercati dell’oro fisico sono India e Cina che hanno continuato ad acquistare grandi quantità di oro quest’anno, grazie ai prezzi più bassi sotto la pressione delle forze macro”.

FONTE:

ORO – Per UBS il 2023 sarà l’anno del ritorno
ORO, MERCATI – Prosegue il recupero. Tutti gli Etc a Piazza Affari

ORO, MERCATI – Prosegue il recupero. Tutti gli Etc a Piazza Affari

Il prezzo spot dell’oro prosegue nel recupero iniziato nelle prime sedute di novembre dopo il test, a 1.615 euro, del supporto statico di medio termine e conferma il superamento della resistenza a quota 1.750.

Ora il prossimo, cruciale, target dei corsi è individuabile sulla soglia tecnica e psicologica dei 1.800 dollari. Un ostacolo dove in seguito il lingotto potrebbe prima consolidare in trading range prima di salire ulteriormente verso l’obiettivo della resistenza in area 1.875.

Stop loss (o stop and reverse) da posizionare però a 1.750 dollari.

FONTE:

ORO – Di nuovo caccia all’oro – Banche centrali affamate.

NEW YORK – La decisa ripresa del prezzo dell’oro di questi giorni (+2.19% in una settimana e +2.56% in un mese), che attesta il metallo giallo a un “break level” oltre la soglia dei 1700 dollari, non è affatto ingiustificata da un punto di vista reale. Sarebbero infatti le banche centrali di tutto il mondo ad accumulare in queste ore riserve auree a un ritmo frenetico, «come non si vedeva da 55 anni (dal 1967, ndr), quando il dollaro americano era ancora sostenuto dall’oro», rileva il sito web di materie prime ed energia, oilprice.com.

Acquisto record – I dati parlano chiaro e sono stati recentemente resi noti dal World Gold Council (WGC): nel terzo trimestre del 2022 le banche centrali hanno acquistato un record di 399 tonnellate d’oro, per un valore corrispondente a circa 20 miliardi di dollari. Juan Carlos Artigas, responsabile della ricerca presso il World Gold Council, ha dichiarato in un’intervista al sito specializzato Kitco News che «il consumo globale di oro è tornato ai livelli pre-pandemici».

Le banche “a caccia” – Le banche centrali “ufficialmente” più intraprendenti nella nuova caccia all’oro sarebbero quelle di Turchia (+31 tonnellate nel terzo trimestre), Uzbekistan (+26 tonnellate), India (+17) e Qatar (+15). Perse invece le tracce riguardo i possibili acquirenti delle restanti 317 tonnellate circa. Sospettati degli acquisti “fantasma” sarebbero – come ha riportato il Sole 24 Ore – Cina e Russia.

In fatto di riserve auree sono però altri i paesi “paperoni” stando ai dati 2022; su tutti la banca centrale degli Stati Uniti, che detiene oltre ottomila tonnellate di lingotti, seguita da Germania (3300 circa) e dalla sorprendente Italia (2452 ton). La Svizzera? È settima al mondo con un tesoretto di oltre 1,000 tonnellate (fonte World Gold Council).

Cresce anche la domanda al dettaglio – Ma non sarebbero solo gli Stati a voler rinforzare i propri caveau perché, sempre secondo quanto reso noto dal WGC, anche la domanda al dettaglio da parte di gioiellieri e acquirenti di lingotti e monete d’oro è tornata a risplendere, tanto che la domanda mondiale di oro è stata di 1.181 tonnellate nel terzo trimestre, una crescita positiva del +28% rispetto allo stesso periodo all’anno passato.

Insomma, sembrerebbe ancora una volta l’oro la medicina più gettonata contro il “virus” dell’inflazione e le turbolenze di questi ultimi mesi.

FONTE:

ORO – Di nuovo caccia all’oro – Banche centrali affamate.