L’emergenza sanitaria che ha colpito l’Italia e il resto del mondo negli ultimi mesi non apparteneva all’orizzonte dei rischi mappati e potenziali per il 97% delle imprese intervistate. Si tratta di una situazione che avrà impatti economici notevoli, con una flessione negativa di fatturato che le aziende prevedono dell’11,1%. Sono questi alcuni elementi che emergono dall’VIII Osservatorio sulla diffusione del risk management nelle medie imprese italiane, la ricerca realizzata da Cineas in collaborazione con l’Ufficio Studi di Mediobanca.
“La nostra indagine annuale – dichiara Massimo Michaud, Presidente di Cineas – sottolinea alcuni aspetti di rilievo: la catastrofe sanitaria, precedentemente assente dalla mappa dei rischi previsti, pur comportando una significativa perdita di fatturato, non impedirà ad oltre la metà delle imprese interrogate (54,7%) di mantenere gli investimenti programmati. Nonostante una sempre maggiore gestione integrata dei rischi nelle imprese rispondenti, questa rimane affidata ai tecnici e coinvolge solo in pochi casi il Consiglio di Amministrazione. Tuttavia, sempre di più le responsabilità dei rischi operativi riguardano i vertici aziendali e la necessità di tenere conto di tutti gli stakeholders e dell’impatto ambientale e sociale delle azioni dell’impresa non è più rinviabile. In relazione allo sviluppo del lavoro a distanza, esiste un rischio di perdita di competenze applicate. Serve migliorare lo smart management, la gestione delle persone in remoto, per assicurare la coesione dei team, supportare emotivamente i collaboratori, formarli più intensamente, chiarire ancora meglio gli obiettivi attesi e le tappe per realizzarli. Forse anche a causa della pandemia, assieme ad una maggiore sensibilità ai rischi si modifica in parte la gerarchia dei rischi con un rafforzamento di alcuni di essi: in primis gli infortuni sul lavoro, ma anche il cyber risk corollario della dipendenza sempre maggiore dalle tecnologie, il rischio di fenomeni climatici estremi e i rischi normativi legati alla responsabilità verso terzi da parte dei titolari delle imprese”.
La pandemia ha colto la totalità delle imprese impreparate. Dall’indagine emerge un dato chiaro: l’emergenza legata al Coivid-19 non apparteneva all’orizzonte dei rischi mappati e potenziali per il 97% delle imprese e questo potrebbe avere un enorme impatto, nel prossimo futuro, sugli assetti di governance e controllo dei rischi delle medie imprese italiane.
“La crisi potrebbe, tuttavia, trasformarsi in opportunità di espansione per un numero consistente di aziende – dichiara Gabriele Barbaresco, Direttore dell’Ufficio Studi di Mediobanca che ha curato la raccolta dei dati -. Infatti, coloro che dichiarano la volontà di intraprendere campagne di acquisizione manifestano aspettative di caduta del fatturato per il 2020 un po’ meno negative. Si tratta, in questo caso, di aziende mediamente più grandi (con un fatturato medio di 57 milioni contro 42 milioni), più dotate finanziariamente e con redditività doppia (Roi al 13,2% contro il 6,7%). Un altro aspetto da considerare è legato, invece, al rinnovo della prima linea manageriale, anch’essa legata ad imprese con buoni profili reddituali che intendono cogliere la fase corrente in chiave proattiva per dotarsi di una struttura decisionale ancora più performante e adatta a un contesto sempre più sfidante”.
LE CONSEGUENZE DELLA PANDEMIA SUI RISCHI PER LE IMPRESE: CAMBIAMENTI TECNOLOGICI E ORGANIZZATIVI SCOPRONO NUOVE VULNERABILITÀ
La conseguenza della pandemia che più diffusamente si è manifestata a carico delle imprese ha riguardato ritardi nei pagamenti (59,9%) che tuttavia, fortunatamente, solo per il 14,5% degli intervistati si sono tradotti in una situazione di tensione sulla liquidità. La seconda conseguenza più rilevante (evidenziata dal 30,7% delle imprese) ha riguardato la rottura della supply chain, concretizzatasi in ritardo o interruzione della filiera di fornitura che, solo per lo 0,6%, ha portato alla perdita del fornitore. La presa sulla clientela è rimasta tutto sommato buona e solo il 6,5% delle aziende ne ha subìto la perdita. Ragguardevole, da ultimo, il fatto che oltre due aziende su dieci non hanno registrato alcun impatto operativo.
Il 47,5% delle imprese intervistate intende mettere in atto cambiamenti organizzativi e tecnologici per contenere il rischio di contagio. Tra gli interventi tecnologici emergono: sistemi di videoconferenza (40%) e dispositivi per il monitoraggio dello stato di salute dei dipendenti (31,9%).
Dal punto di vista organizzativo profilo organizzativo, la turnazione appare come la soluzione più realizzabile nell’immediato (40,6%); da rilevare che una percentuale quasi analoga, il 38,1%, non intende introdurre cambiamenti.
A fronte di questa evoluzione le imprese intravedono nuovi profili di rischio soprattutto in 2 aree: da una parte la sfera del cyber risk. Si tratta di un insieme di tematiche che raccoglie il consenso del 43,1% delle imprese e che spazia dai generici rischi di hackeraggio (21,1%) a quelli più specifici di perdita di dati sensibili, ovvero coperti da privacy (16,5%), fino a quelli che hanno rilevanza strategica per l’impresa (5,5%). Il secondo nucleo di rischi ha a che fare con l’ambito delle risorse umane e, in termini più ampi, con il presidio del capitale umano. Non tanto in termini di ritenzione delle competenze, ma in termini di rischio di disengagement dovuto alla non sempre agevole assimilazione delle nuove modalità di lavoro.
La classifica delle minacce percepite dalle aziende.
L’analisi delle 10 categorie di rischio la cui rilevanza è annualmente sottoposta alla valutazione delle imprese offre conferme e interessanti variazioni, certamente dettate dalla contingenza pandemica. L’infortunistica sul lavoro, quest’anno comprensiva delle tematiche di salute dovute al Covid, si conferma come la sorgente di rischio maggiormente attenzionata dalle imprese. La sequenza dei due rischi successivi è invariata rispetto all’edizione 2019: al secondo e terzo posto troviamo, infatti, la difettosità del prodotto e il cyber risk (in crescita rispetto all’anno scorso). La differenza tra il secondo e il terzo rischio, che si attestava a 8 punti nel 2019, si dimezza a 4 punti nel 2020. Una variazione relativa che anticipa quella di ancora maggiore significato che si registra per la quarta e quinta posizione, nel 2019 occupate rispettivamente dal rischio da danno ambientale (inquinamento) cui seguiva quelli relativi a eventi meteo estremi. Nel 2020 il danno ambientale perde punteggio, mentre il meteo estremo guadagna quasi tre punti e ciò gli vale l’avanzamento di una posizione nel 2020.
I danni ambientali (inquinamento) sono seguiti a brevissima distanza dai rischi regolamentari il cui score cresce di 5,7 punti, da 76 a 81,7. Completa il quadro la maggiore rilevanza registrata dai rischi finanziari, a cui viene riconosciuto un peso maggiore in relazione alla crisi di liquidità evidenziata da alcune aziende.
Avere un sistema integrazione di mitigazione dei rischi è fondamentale per circa il 40% delle aziende intervistate.
L’indagine mette in evidenza la crescita costante, negli ultimi 5 anni, della percentuale d’imprese che dichiarano di disporre di un sistema di gestione del rischio di tipo integrato che è passata dal 17,2% del 2016 al 38,6% del 2020. Se si chiede alle aziende di descrivere il proprio modello di gestione del rischio, però, emerge un quadro meno solido: l’attività basilare, ovvero la mappatura dei rischi, è praticata dal 67% delle imprese, ma già il passo logicamente successivo alla mappatura, ovvero il monitoraggio dei rischi (occorsi, evitati e rilevati ex post) interessa una fascia assai più ridotta, il 38,6% delle aziende. Le percentuali si fanno poi sensibilmente più basse passando alle successive fasi che prevedono la sintesi e la condivisione con l’organo di controllo (CdA) che viene coinvolto solo nel 13,9% dei casi.
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