Dalle aspettative di inflazione all’analisi dei tassi reali Usa, passando per la debolezza del dollaro fino alla psicologia dei piccoli investitori retail. Ecco tutto ciò che ha trainato l’oro nel 2020, con ampio focus su come comportarsi in previsione dell’anno (positivo) che sarà

di Marco Vignali0 – 1/01/2021 – 12:55


Se c’è stato un protagonista indiscusso di questo 2020 che va concludendosi è stato senza ombra di dubbio l’oro. Il metallo giallo ha fatto registrare rialzi da capogiro, portandosi addirittura su nuovi massimi storici prima di ritracciare leggermente nelle ultime settimane, complice il netto miglioramento del sentiment generale. Gli investitori si stanno chiedendo se e come la strepitosa performance del 2020, con un rialzo di oltre il 35% dal 1° gennaio ai massimi storici (la performance attuale si aggira intorno al +21% da inizio anno), possa effettivamente continuare in un anno in cui la propensione al rischio dovrebbe essere il fattore chiave sui mercati. Analizzando le cause del rialzo di quest’anno, possono essere tratte importanti indicazioni anche per i prossimi dodici mesi.

Le motivazioni della performance del 2020

La performance positiva del metallo giallo è dovuta a molteplici fattori. Innanzitutto, l’oro ha beneficiato di un dollaro debole, che ha tratto svantaggio dai tassi d’interesse Usa decisamente compressi che hanno svalutato gli attivi in valuta locale. La debolezza del biglietto verde ha fatto si che le altre valute dei principali compratori d’oro potessero così rafforzarsi, aumentando gli acquisti e spingendo al rialzo i prezzi della materia prima.

Un altro aspetto chiave è stata la presunta correlazione inversa con il mercato azionario. Tuttavia, questo fattore ha inciso più a livello psicologico che strutturale, in quanto molto spesso nel corso dell’anno oro e azioni hanno avuto un andamento simile. Tuttavia, con l’ingente quantità di prodotti Etf ed un mercato sempre più in mano agli investitori retail, questo aspetto è stato comunque un driver importante che ha spinto i gestori a inserire sempre più oro per diversificare i portafogli.

Inoltre, per quanto il metallo giallo benefici di uno scenario inflattivo (non subisce l’erosione del potere d’acquisto), è durante i periodi deflattivi che, proprio a causa dei tassi di interesse bassi, trae maggior beneficio. L’oro non offre rendimento ed è quanto meno logico pensare che, quando i rendimenti dei bond sono rasenti o sotto lo zero, gli investitori prediligano questo tipo di asset class piuttosto che quella obbligazionaria.

Per quanto riguarda i motivi del recente ribasso, invece, è bene sottolineare che si è trattato di qualcosa di abbastanza “anomalo”. Il prezzo dell’oro ha infatti subito una brusca correzione, comunque fisiologica, scendendo fino a 1750 dollari (il 50% del rialzo da marzo in avanti) e violando al ribasso il supporto costituito dalla media mobile calcolata a 200 periodi. Il crollo repentino è avvenuto nonostante tassi reali a 5 e 10 anni piuttosto bassi (l’oro è inversamente correlato agli stessi) e il consolidato indebolimento del dollaro rispetto alle principali valute di consumatori di oro.

Goldman Sachs ha ritenuto che quanto successo sia stato dovuto a una combinazione data dalla rotazione pro-ciclica verso i titoli azionari combinata con l’assenza di un aumento delle aspettative del punto di pareggio dell’inflazione, fattore che aveva portato l’oro sui massimi storici durante la scorsa estate. Di conseguenza, l’oro ha sofferto della forte rotazione, avvenuta senza però un contestuale fenomeno reflattivo, atteso invece per il 2021.

Cosa aspettarsi nel 2021

Le dinamiche della pandemia hanno fatto scattare una vera e propria corsa al bene rifugio, ed è possibile che l’oro abbia già in parte prezzato questo scenario futuro, come evidenziato dall’ampia divergenza attuale con il Bloomberg Commodity Spot Index, l’indice che racchiude le principali materie prime, oro compreso. In primo luogo, nel 2021, l’andamento del metallo più prezioso sarà fortemente legato alla crescita del valore del debito rispetto al Pil nominale statunitense. Un aumento del rapporto tra queste due ultime grandezze, che appare inevitabile, fornirebbe un altro fattore rialzista per le quotazioni. Inoltre, sebbene la valutazione dell’oro sia comunque elevata, la misura del prezzo in termini percentuali rispetto al rapporto debito pubblico/Pil Usa evidenzia un livello sostanzialmente identico a quello del 2007 e del 1979, gli anni precedenti all’inizio dei due principali bull market della commodity.

L’oro è inoltre il principale beneficiario della reflazione e nell’anno che sta per iniziare, con gli stimoli fiscali Usa che entreranno finalmente in gioco, l’ingente liquidità erogata dalle banche centrali e la volontà di non alzare i tassi, qualsiasi aumento delle aspettative di inflazione si tradurrà probabilmente in tassi reali più bassi a scadenze a breve e medio termine, che spingeranno ulteriormente al ribasso il dollaro e, manco a dirlo, beneficeranno nuovamente la materia prima.

Infine, un altro interessante spunto può essere tratto analizzando il rapporto tra l’offerta di oro estratto e la ricchezza dei mercati emergenti, misurata tramite il prodotto interno lordo (in dollari), degli stessi emerging markets. Normalmente, si tende a considerare l’estrazione di oro in un determinato Paese come positivamente correlata alla crescita dell’economia dello stesso, accompagnato inoltre da un miglioramento nello stato di benessere. Lo scorso 3 giugno, il World Gold Council (WGC), un’organizzazione di sviluppo del mercato per l’industria dell’oro, ha pubblicato un nuovo rapporto sugli impatti sociali ed economici dell’estrazione dell’oro e le sue implicazioni per la crescita e lo sviluppo. I risultati hanno mostrato come l’industria dell’oro abbia contribuito direttamente per circa 171,6 miliardi di dollari all’economia globale, mentre questo contributo era di appena 81,3 miliardi nel 2013.

Vi è dunque una correlazione positiva tra la crescita dell’impatto dell’estrazione dell’oro sull’economia e il miglioramento dello stato dei redditi in suddetti Paesi. Utilizzando tale valutazione, applicata al Gdp dei soli mercati emergenti, dopo il crollo a 1900 dollari del metallo prezioso, quest’ultimo si presenta come decisamente scontato ed evidenzia uno scostamento ancor più elevato con i tassi reali Usa a cinque anni, che dovrà essere colmato. Utilizzando le stime di Goldman Sachs secondo cui il GDP degli EM dovrebbe aumentare il prossimo anno di un valore di circa il 13%, e aggiungendo che i tassi reali Usa dovrebbero subire una nuova diminuzione o al massimo restare sui valori attuali, è chiaro che l’oro non ha alcun motivo per frenare la sua corsa. (riproduzione riservata)

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