Che cosa possiamo imparare

Prevedere in anticipo lo scoppio di una guerra, l’incubo calato il 24 febbraio ai confini dell’Europa, dentro l’Europa, era quasi impossibile. Proteggere i risparmi nella fase di grande volatilità che è scaturita dall’invasione russa, invece, è possibile. Magari cercando di trarre qualche insegnamento dal modo in cui i mercati hanno reagito nella prima settimana di conflitto. In queste schede , trovate cinque «lezioni» da tenere a mente su oro, Bitcoin, volatilità, rischio geopolitico e investimenti «green».

Oro: investire fino al 10% per proteggersi

Il re dei beni rifugio non ha tradito le aspettative: rispetto alla vigilia dell’invasione russa, che ha innescato il crollo delle borse europee, l’oro si è mantenuto ben saldo, dopo aver guadagnato oltre 5 punti percentuali da inizio anno. La spinta a favore del metallo giallo, va detto, è partita prima della guerra, sui timori per l’inflazione, che ha raggiunto il 7,5% negli Usa – ai massimi da 40 anni – e il 5,8% record in Eurozona (si veda anche articolo a fianco). «Da qui a fine anno, dovrebbe restare favorito, per la funzione di scudo contro l’aumento dei prezzi al consumo, che rimarranno elevati anche a causa delle quotazioni dell’energia: immaginiamo un petrolio attorno ai 100 dollari al barile anche verso fine anno», dice Giacomo Calef, country manager di NS partners. Diversi analisti ipotizzano che l’oro possa salire oltre la soglia psicologica dei 2.000 dollari l’oncia e poi procedere verso il picco record toccato nell’estate del 2020, a 2.070. La stessa tendenza positiva sembra indirizzare gli altri metalli preziosi, come argento e palladio, sostenuti dalla correlazione con l’oro, dall’uso industriale e dalle incognite sul conflitto: la Russia è il primo produttore di palladio e vale quasi la metà della fornitura globale. Quanto oro tenere in portafoglio? «Dipende dall’ampiezza della componente azionaria – precisa Gianluca Scelzo, consigliere delegato di Copernico sim — Se le Borse valgono il 30% e oltre, il metallo giallo può pesare fino al 10%»

Bitcoin: perchéla criptovaluta non è un rifugio

Da inizio anno, il Bitcoin perde 10 punti percentuali. In questa fase — ma non è la prima volta — sembra smentire la decorrelazione che alcuni attribuiscono al mondo cripto rispetto alle classi di attivo tradizionali. Nei giorni successivi allo scoppio della guerra, la maggiore tra le criptovalute si è mantenuta relativamente stabile, salvo compiere un balzo di oltre 15% all’inizio della scorsa settimana, per metà persi nei giorni seguenti. Le ragioni dei saliscendi improvvisi rimangono imperscrutabili, a detta di molti osservatori. Eppure qualche operatore chiama il Bitcoin «oro digitale». Entrambi, in effetti, hanno un’offerta limitata: da una parte, l’oro è presente sulla Terra in quantità finita. Dall’altra, l’algoritmo che disciplina la creazione di nuova moneta digitale è disegnato in modo che si possa immettere sul mercato una quantità massima di 21 milioni di Bitcoin, obiettivo che sarà raggiunto, si stima, nel 2.140 (quasi 19 milioni sono già in circolazione). Nel lungo termine la regina delle criptovalute può essere considerata una riserva di valore? La finanza «classica» tende a storcere il naso, sottolineando come questo sia del tutto incompatibile con un asset capace di moltiplicare il proprio valore di 10 volte in un anno – come tra aprile 2019 e 2020 – ma anche di perdere il 50% in una sola notte (12 marzo 2020). «Non credo che il Bitcoin possa essere considerato un bene rifugio», conclude Gianluca Scelzo (Copernico sim).

Vendere sul panico: un errore. Meglio iniziare un pac

Vendere in un momento di panico è il più grave errore che un investitore possa fare: lo condanna a capitalizzare il segno meno, precludendo la possibilità di cavalcare il successivo rimbalzo e recuperare le perdite. E d’altra parte la reazione dei mercati è talvolta imprevedibile: nelle prime due sedute di borsa dopo l’inizio delle ostilità, per esempio, Wall Street ha guadagnato il 3,8%. A distanza di una settimana, fra giorni buoni e correzioni, ha mantenuto questo vantaggio. L’Europa, invece, favorita tra le piazze finanziarie globali a inizio anno, ora si trova vicina all’epicentro della crisi. È inevitabile che sia la più penalizzata. Ma la storia dei mercati finanziari dice che dopo ogni crollo, le Borse si riprendono. E spesso la velocità del rimbalzo è proporzionale alla violenza della caduta. Potenzialmente, quindi, si aprono opportunità interessanti: «Per chi aveva un portafoglio prudente, un piano di accumulo o uno switch programmato verso i listini azionari, con un orizzonte di due, tre, quattro anni può essere una buona occasione», dice Gianluca Scelzo (Copernico sim). Non sempre conviene restare immobili. «Le posizioni strategiche vanno mantenute: per esempio quelli agganciati a tendenze di lunghissimo termine», dice Giacomo Calef (Ns partners). «Ma le scelte tattiche – per esempio geografiche – possono essere messe in discussione, soprattutto quando si è di fronte a un cambio di paradigma radicale».

Rischio geopolitico: diversificare in Asia e Sud America per prevenire

Quando c’è bonaccia sui mercati, il rischio geopolitico viene evocato da chi suggerisce di non trascurare potenziali minacce in manovra sottotraccia. I fatti di queste settimane dimostrano che c’è del vero. «La geopolitica non va sottovalutata, è un elemento che deve entrare nei portafogli, specialmente quando si investe sugli Emergenti», dice Gianluca Scelzo (Copernico sim), ma non solo. Si tratta del «rischio in assoluto più difficile da gestire», osserva Giacomo Calef (Ns partners). Esplode all’improvviso, talvolta dopo una lunga fase di incubazione. Basti pensare alle Torri Gemelle. Come se ne esce? «Il 90% dei problemi si risolve con la diversificazione», annota il consigliere delegato di Copernico sim. Un esempio: «le aziende quotate nei Paesi del Golfo, su orizzonti di 3-5 anni sono decorrelate all’andamento dei mercati sviluppati», dice il top manager di Ns Partners. Oppure, spiega, «si può diversificare in base alla geografia della politica fiscale e monetaria». I mercati europei e Usa sono più vulnerabili, oggi, perché la guerra si innesta su un terreno minato, visto che le banche centrali sono pronte a una manovra restrittiva anti inflazione. «La Cina, invece, sta tagliando i tassi. Questo non protegge dal rischio geopolitico, ma consente di bilanciare forze e variabili», dice Calef. Secondo Scelzo, «l’Asia Pacifico potrebbe avere un momento di grazia. Anche aree come l’America Latina o il Sudafrica, per l’esposizione alle risorse naturali».

Sostenibilità in pausa? Puntate sia sul petrolio che sui titoli green

Dalla Russia l’Europa importa il 41% del gas e il 27% del greggio di cui ha bisogno (Eurostat). Non stupisce che lo scoppio della guerra abbia infiammato i prezzi dell’energia, con il petrolio Brent (il riferimento per l’Europa) salito sopra i 100 dollari al barile — costa il 50% in più rispetto a un anno fa — e il gas alle stelle. La Germania sta ventilando l’ipotesi di mantenere attive le ultime tre centrali nucleari, invece di spegnerle entro fine dell’anno. E anche i suoi piani di archiviare le centrali a carbone prima del 2030 sembrano destinati a revisione. Almeno in Europa, la transizione verso l’energia verde potrebbe conoscere una battuta d’arresto. Guarda caso, un indice come l’S&P Oil & gas exploration & production select industry, che rappresenta le aziende Usa attive nell’esplorazione e nella produzione di petrolio e gas, ha guadagnato il 13% dal 23 febbraio, vigilia dell’invasione. «Ora i rigassificatori e le aziende estrattrici di petrolio riceveranno nuovi investimenti, che erano di fatto rallentati. Oggi l’Opec non sembra essere nelle condizioni di aumentare la produzione», dice Giacomo Calef (Ns Partners). Nel medio, però, è probabile che gli investimenti a favore delle energie pulite vengano intensificati, specialmente in Europa, proprio per ridurre la dipendenza energetica dalla Russia. «In questo momento — conclude Calef — ha senso investire sia su petrolio che su rinnovabili».

FONTE:

 CORRIERE.IT