Il 92% dei gestori che ha partecipato al sondaggio BofA ha dichiarato di aspettarsi un aumento dell’inflazione nei prossimi dodici mesi. Quali sono le ricadute per gli investimenti?

Le politiche monetarie e fiscali senza precedenti messe in atto dalle banche centrali nell’anno della pandemia hanno contribuito ad arginare il contraccolpo finanziario della crisi sanitaria. I mercati hanno così potuto recuperare buona parte del terreno perso nella primavera del 2020, quando la pandemia costrinse i principali Paesi sviluppati a mettere in atto misure straordinarie di lockdown per evitare il collasso dei sistemi sanitari.

Il recupero è stato particolarmente sostenuto tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 quando gli investitori hanno iniziato a prezzare un ritorno alla normalità grazie ai vaccini. L’avvio del nuovo anno non ha fatto altro che consolidare questo trend. Soprattutto nel momento in cui sono state rese note le cifre del piano di stimolo fiscale che l’amministrazione Biden, di fresco insediamento, si prepara a varare: 1900 miliardi di dollari.

Come sopravvivere alla montagna di debito accumulato durante la pandemia

Per il 2021 le aspettative degli investitori sono per il mantenimento, sia negli Usa sia in Europa, dell’arsenale di stimoli monetari e fiscali che ha consentito all’economia di reggere il colpo della pandemia. E che questo mix contribuisca a una ripresa solida del Pil. Così come a un risveglio dell’inflazione. Il 92% degli investitori che mensilmente vengono censiti da Bank of America Merrill Lynch nel suo consueto sondaggio ha dichiarato di aspettarsi un aumento dei prezzi al consumo nei prossimi 12 mesi. Si tratta di una percentuale da record. Sono numeri che vanno di pari passo con la recente ripresa degli indici che monitorano le aspettative di inflazione nell’area euro e che vengono da sempre monitorati con molta attenzione da parte della Bce.

L’aspettativa di una risalita delle pressioni inflazionistiche ha contribuito ad alimentare il cosiddetto “reflation trade”, ossia una strategia di portafoglio orientata a favorire le classi di investimento più cicliche come le azioni o materie prime come il petrolio.

Mercato obbligazionario sfavorito

Tipicamente sfavorito in un contesto di risalita dell’inflazione è invece il mercato obbligazionario. Più crescono i prezzi al consumo più si riduce il rendimento reale dei bond. E il mercato, per compensare, vende facendo scendere i prezzi e risalire i rendimenti a livelli più consoni al contesto macro. Non solo, con l’inflazione in risalita, le politiche espansive delle banche centrali hanno meno giustificazione e i mercati potrebbero iniziare a scontare un loro ritiro andando a colpire quelle classi di investimento più direttamente influenzate dal livello dei tassi di interesse. È un film già visto: nel 2013 il solo accenno a un graduale ritiro del piano di acquisti di titoli di Stato (Qe) da parte dell’allora presidente della Fed Ben Bernanke provocò un mezzo terremoto nel mercato dei bond (passato alla storia come “Taper Tantrum”).

Eppure, nonostante da tempo si parli della prospettiva di una risalita dell’inflazione, il mercato del reddito fisso in questa fase non pare dare segnali di stress. Anzi. Sebbene la prospettiva di una contrazione marcata del mercato obbligazionario venga considerata uno dei maggiori fattori di rischio con cui fare i conti in questa fase (il 29% dei gestori si è espresso in questo senso) il mercato pare abbastanza tranquillo in questa fase.

Banchieri centrali e stimoli

La lezione del “Taper Tantrum” del 2013 è ancora viva e i banchieri centrali non hanno alcuna intenzione di soffocare la ripresa con un ritiro prematuro degli stimoli. Il mercato ne è consapevole e forse questo spiega perché, al netto di un fisiologico ritorno sui titoli indicizzati all’inflazione, non si sia vista per il momento alcuna correzione significativa dell’obbligazionario.

Una risalita dei prezzi al consumo non dovrebbe insomma comportare un cambio di rotta nelle politiche monetarie. La Fed lo ha deciso comunicando l’intenzione di voler accettare eventuali risalite dei prezzi, purché temporanee. La Bce non ha ufficialmente preso una posizione a riguardo anche se alcuni esponenti di spicco hanno espresso un orientamento simile. Come il capo economista Philip Lane o l’esponente tedesca del Board Isabel Schnabel. Un ritiro troppo rapido dello stimolo monetario in una fase in cui l’economia è ancora molto vulnerabile insomma potrebbe fare più danni che altro. Soprattutto in ragione dell’elevato indebitamento di governi e imprese causa pandemia. Meglio fare i conti con una fiammata dei prezzi. Purché temporanea.

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