In ambito successorio, la clausola di “Mero gradimento” consente ai soci superstiti di preservare la compagine societaria, custodendo la quota del socio deceduto e rifiutando l’ingresso dei successori. Ma le conseguenze per gli eredi sono davvero indifferenti?

L’articolo 2469 del codice civile sancisce per la Srl il principio di libera trasferibilità delle quote societarie stabilendo che “le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo”. L’autonomia statutaria può derogare tale principio introducendo limiti al trasferimento della partecipazione che possono condizionare la modifica della compagine sociale.

È infatti abituale trovare all’interno dello statuto di una Srl, la cui connotazione personalistica è più significativa rispetto alla Spa, una clausola di mero gradimento che incide sulle vicende circolatorie della partecipazione, in modo del tutto discrezionale.

Nel caso particolare di trasferimento della partecipazione mortis causa, gli scenari che si prospettano in capo ai soci superstiti risultano essere sostanzialmente i seguenti:

  • da un lato, la continuazione della società con gli eredi del socio defunto
  • dall’altro lato, il rifiuto di accettare il subentro degli eredi, liquidando così la quota a loro favore, mantenendo inalterata la compagine e preservando altresì il patrimonio sociale da ingressi indesiderati.

Il rimborso della partecipazione sarà effettuato in proporzione al valore di mercato del patrimonio sociale, al momento della decisione di non gradimento da parte dei soci superstiti.
In tale ultima ipotesi, la liquidazione agli eredi potrebbe comportare l’esborso di una somma rilevante per la società, con conseguente sottrazione di parte del patrimonio al perseguimento dell’oggetto sociale, tenuto conto che il dovere di liquidare la quota del socio defunto è in capo alla società e non già agli altri soci.

Ma quali conseguenze possono presentarsi per gli eredi nel caso in cui venga negata la prosecuzione in qualità di soci?

Il comma 4-ter dell’art. 3 D.Lgs. 346/1990 (Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni), infatti, stabilisce l’esenzione dall’imposta sulle successioni per i trasferimenti mortis causa di quote sociali mediante i quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’art. 2359 del codice civile, a condizione che sia mantenuto il controllo societario per un periodo non inferiore a 5 anni dalla data del trasferimento. Diversamente, per i trasferimenti in linea retta, si applica l’aliquota del 4% oltre la franchigia di un milione.

Nella fattispecie esaminata, invece, in cui i soci superstiti rifiutino ai successori l’ingresso nella società, non verificandosi alcun trasferimento della quota societaria, gli eredi, di fatto, non acquisiscono mai la partecipazione e, pertanto, non possono integrare il presupposto sopra enunciato ai fini dell’eventuale esenzione da imposta di successione.

In un caso simile, è stato chiarito dall’Agenzia delle entrate mediante la risposta n. 69 del 20 febbraio 2020 a una istanza di interpello che la somma liquidata per effetto dell’esercizio della clausola di gradimento da parte dei soci superstiti sia qualificabile quale dividendo ai sensi dell’art. 47, comma 7, del Tuir e, in caso di percettori persone fisiche appunto, sia soggetta a imposizione mediante l’applicazione della ritenuta a titolo di imposta del 26%. Trattandosi di dividendo, a tale reddito sono applicabili le relative disposizioni contenute nelle convenzioni contro la doppia imposizione che generalmente prevedono l’applicazione di una ritenuta con aliquota inferiore rispetto a quella interna.