di Stefano Loconte e Giulia Maria Mentasti – 4 Ottobre 2021
Se si appalta, scelta accurata e monitoraggio costante, perché scattano le manette e le sanzioni 231: è quanto emerge dalla sentenza n. 33595 del 10 settembre scorso, con cui la quarta sezione penale della Cassazione ha chiamato a rispondere sul piano penale, nonché ex dlgs 231/2001, l’impresa committente per l’incidente occorso al dipendente della ditta appaltatrice. La Cassazione ha, infatti, ritenuto il committente titolare di una autonoma posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per il suddetto infortunio, sia per la scelta dell’impresa sia in caso di omesso controllo dell’adozione, da parte dell’appaltatore, delle misure di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro.
I principi sanciti dalla sentenza.
Per evitare di essere coinvolto in un procedimento penale, il committente di lavori dati in appalto deve prestare molta attenzione nello scegliere il soggetto al quale affidare l’incarico, accertandosi che sia non soltanto munito dei titoli di idoneità prescritti dalla legge, ma anche della capacità tecnica e professionale, proporzionata all’attività commissionata e alle concrete modalità di espletamento della stessa. Inoltre, attenzione a non chiedere che il lavoro sia svolto in tempi stretti: infatti, in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, il vantaggio di cui all’art. 5 dlgs n. 231/2001, operante quale criterio di imputazione oggettiva della responsabilità, può consistere anche nella velocizzazione degli interventi che sia tale da incidere sui tempi di lavorazione, corrispondendo al risparmio di tempo un risparmio di spesa in termini di giornate di lavoro pagate e comunque di costo complessivo dell’opera.
Il ricorso e la tesi difensiva.
Contro la decisione avevano proposto ricorso gli imputati, eccependo come il parapetto di protezione (la cui mancata installazione da parte dell’appaltatore era stata pacificamente individuata quale causa dell’infortunio) non ricadesse tra le misure oggetto di «cooperazione e coordinamento» nell’ambito dei contratti d’appalto, d’opera o di somministrazione, previste dall’art. 26 dlgs n. 81 del 2008, ovvero della regola cautelare che si assumeva come violata. Si sarebbe trattato infatti di presidi di sicurezza relativi all’attività del solo appaltatore, non ricadenti nel campo di applicazione della contestata norma. Quanto alla responsabilità amministrativa da reato, l’ente rilevava come non fosse integrato l’art. 5 dlgs 231/2001 (che richiede, affinché possa sussistere la responsabilità dell’ente, che il reato sia stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio). Infatti, pur abbracciando l’indirizzo giurisprudenziale per cui in relazione ai delitti colposi è sufficiente una condotta finalisticamente orientata a un obiettivo risparmio di costi aziendali, la società aveva sempre investito cospicui importi in termini di investimenti per la sicurezza dei propri dipendenti. Quanto poi alla costruzione del forno fusorio in questione, veniva eccepito come la contestata omissione non avrebbe potuto produrre alcun risparmio di spesa per tale ente posto che la predisposizione delle misure di sicurezza, in ragione delle naturali competenze di natura tecnica dell’attività, era stata contrattualmente demandata al costruttore.
Il committente titolare di una autonoma posizione di garanzia.
Dunque, premettendo sin d’ora che la Suprema corte ha ritenuto i ricorsi infondati, giova ripercorrere le argomentazioni a sostegno dei principi emergenti dalla pronuncia. La Cassazione ha in particolare evidenziato come in materia di infortuni sul lavoro gli obblighi di prevenzione in capo al committente le opere non si esauriscono negli accordi contrattuali assunti con l’appaltatore, posto che la normativa vigente impone ai datori di lavoro di cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto, verificando le condizioni di sicurezza dei lavori affidati, la congruenza dei piani operativi di sicurezza delle imprese esecutrici rispetto al proprio, nonché l’applicazione delle disposizioni del piano di sicurezza e coordinamento. Infatti, la giurisprudenza individua in capo al committente la titolarità di una autonoma posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l’infortunio subito dal lavoratore, sia per la scelta dell’impresa sia in caso di omesso controllo dell’adozione, da parte dell’appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (così Cass. pen., sez. IV, n. 23171 del 9/2/2016), chiamandolo a rispondere dell’incidente ogniqualvolta l’evento si colleghi causalmente a una sua colpevole omissione (cfr. Cass. pen., sez. IV, n. 10608 del 4/12/2012). Ancora, gli Ermellini hanno tenuto a ribadire che il committente di lavori dati in appalto, nello scegliere il soggetto al quale affidare l’incarico, debba adeguare la sua condotta a fondamentali regole di diligenza e prudenza, accertandosi che tale soggetto sia non soltanto munito dei titoli di idoneità prescritti dalla legge, ma anche della capacità tecnica e professionale, proporzionata al tipo astratto di attività commissionata e alle concrete modalità di espletamento della stessa (cfr. Cass. pen., sez. IV, n. 7188 del 10/01/2018). Obblighi che non erano stati rispettati nel caso di specie, essendo al contrario state riscontrate dai giudici di merito gravissime lacune nella promozione del coordinamento e della cooperazione con l’impresa appaltatrice.
Il vantaggio e la responsabilità «231» dell’ente.
Del pari, la Cassazione ha respinto i tentativi di difesa della società sotto il profilo della responsabilità ex dlgs 231/2001. Invero, era emerso nella vicenda in esame un diretto interesse alla maggior concentrazione possibile dei tempi di realizzazione, velocizzazione che sarebbe stata sicuramente compromessa da una più attenta attività di verifica e di coordinamento tra le ditte che dovevano operare per la realizzazione del forno. Al risparmio di tempo era corrisposto in via logica e fattuale un risparmio di spesa in termini di giornate di lavoro pagate e comunque di costo complessivo dell’opera.
Specularmente, la fretta nella realizzazione delle opere evitando la necessaria precisione di verifica e di gestione dei rischi costituiva sintomo e nello stesso tempo effetto della disorganizzazione strutturale con cui la committente aveva deliberatamente stabilito di dar luogo all’attività nel corso della quale il dipendente aveva il grave infortunio. Dunque, pur a fronte di una prassi operativa che solitamente teneva conto dei rischi interni e della necessità di far fronte alle spese per la salvaguardia dell’incolumità e della salute dei propri dipendenti, altrettanto non era stato attuato nel caso di specie, nella erronea convinzione che fosse sufficiente attribuire la gestione dei rischi e i costi a essi connessi al venditore. Ciò chiarito, la Suprema corte è giunta alla conclusione per cui dai giudici di prime cure fosse stato fatto buon uso del principio secondo cui, in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, il vantaggio di cui all’art. 5 dlgs 231/2001, n. 231, operante quale criterio di imputazione oggettiva della responsabilità, può consistere anche nella velocizzazione degli interventi che sia tale da incidere sui tempi di lavorazione (v. anche Cass. pen., sez. IV, n. 13575 del 5/5/2020). Da qui il rigetto del ricorso e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
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