La prima vittima della guerra, si dice comunemente, è la verità, travolta dalla propaganda. La seconda vittima, aggiunge Russell Napier, è la solidità della moneta.
In queste ore si parla di nuovo (e con maggiore convinzione rispetto ai mesi scorsi) di stagflazione come esito dello shock da offerta prodotto dalle sanzioni contro la Russia. Gli anni Settanta, che nel 2021 erano stati evocati in mezzo a molto scetticismo da chi li aveva vissuti o studiati, sembrano ancora più vicini ora che una crisi energetica rischia di andare ad aggiungersi al contesto fiscale e monetario strutturalmente inflazionistico creato dalla risposta alla pandemia e alle strozzature dell’offerta determinate dalla deglobalizzazione.
E tuttavia, delle due disgrazie che la stagflazione evoca, la stagnazione e l’inflazione, la seconda continua a sembrarci più probabile della prima, quantomeno in America, mentre in Cina non sono alle viste né l’una né l’altra. La stagflazione vera e propria è al momento un rischio per la sola Europa.
Un rischio, non una certezza. La nebbia della guerra può indurre a una lettura distorta della realtà. Il primo giorno del conflitto, il 24 febbraio, si è pensato a una rapida conquista russa dell’Ucraina. Nei giorni seguenti si è parlato invece di una sostanziale sconfitta russa, data come già evidente. Ora si ipotizza una guerra lunga e distruttiva, con una sorta di vittoria di Pirro per Putin e una Russia murata viva per il resto dei suoi giorni. Tre scenari in una sola settimana.
Ci sono poi, accanto a quella militare, altre dimensioni difficili da ponderare. I canali diplomatici rimangono aperti e in qualsiasi momento, almeno sulla carta, potrebbe prospettarsi uno spiraglio, se non di pace almeno di tregua. In alternativa, un regime change a Mosca potrebbe sparigliare tutto e aprire nuovi scenari.
Un ulteriore livello di incertezza circonda le sanzioni, non tanto per i danni inferti alla Russia, assolutamente certi, quanto per le ricadute sul resto del mondo. Non è chiaro il perimetro delle sanzioni. Non è chiaro se ce ne saranno altre. Non è infine definibile l’entità delle cosiddette autosanzioni, ovvero della rinuncia preventiva da parte del mondo corporate a fare affari con la Russia per evitare rischi o per non subire boicottaggi da parte di gruppi di pressione.
In particolare, non è chiaro quanto verrà mantenuto aperto il rubinetto del gas russo, che per ora fluisce regolarmente verso l’Europa in misura perfino superiore a quella dei mesi scorsi in cambio di euro che continuano a scorrere nella direzione opposta. Per il momento è probabile che la pressione futura per ulteriori sanzioni si concentri sul petrolio, più che sul gas, soprattutto da parte americana.
Tutte queste incertezze inducono a non suggerire ancora uno stravolgimento completo dei portafogli. D’altra parte, tuttavia, le possibilità che un portafoglio standard del 2021 esca incolume dalle turbolenze del 2022 non sono così alte da permettere il lusso di non fare nulla. Meglio dunque operare aggiustamenti progressivi e aggiungere quando possibile materie prime (energia, metalli, fertilizzanti, derrate agricole), sostituendo il cash e una parte dei bond a rischio zero con oro.
L’oro, in questo contesto, sembra preferibile alle criptovalute per due ragioni. La prima è che il congelamento delle riserve valutarie russe detenute all’estero come effetto delle sanzioni indurrà alcune banche centrali (tra cui probabilmente quella cinese) a non tenere i nuovi afflussi valutari in titoli di Stato più del necessario e ad accumulare al loro posto oro e forse, un giorno, materie prime da tenere sotto chiave in casa propria. La seconda ragione è che le criptovalute, poco amate negli ultimi tempi dal governo russo, sono viste oggi da Mosca sotto una nuova luce. Proprio per questo, però, il mondo delle cripto potrebbe essere in futuro oggetto di restrizioni nei paesi occidentali.
La componente azionaria, dal canto suo, va indirizzata in senso difensivo. Qui va fatta però una distinzione tra America ed Europa. Se in America ipotizziamo un permanere della crescita trainato dall’uscita dalla pandemia e da una maggiore produzione interna di fonti energetiche in sostituzione di quelle oggi importate dalla Russia, difensivo significa banche (i tassi saliranno comunque), valore, ciclici e utilities. In Europa, dove la crescita dell’economia sarà più penalizzata, bisogna invece essere più selettivi scegliendo le banche più solide e usando cautela con i ciclici e con le utilities legate all’energia, che potrebbero essere spinte dai governi a privilegiare gli utenti rispetto agli azionisti.
Con una Fed che continuerà a chiudere un occhio sull’inflazione e una Bce che li chiude tutti e due, la Cina, con la sua bassa inflazione, con un cambio forte e con rendimenti reali positivi sui suoi titoli di stato risulta attraente per la componente a reddito fisso del portafoglio. È doveroso però ricordare che la durezza americana verso la Russia ha come obiettivo, oltre a quello di fare implodere un potenziale alleato strategico della Cina, quello di inviare a Pechino un potente messaggio su quello che potrà succedere il giorno in cui l’Esercito Popolare di Liberazione metterà piede a Taiwan. Chi investe in Cina può insomma dormire tranquillo se fa una fotografia dei fondamentali, ma deve sapere che la guerra alla Russia è solo il primo capitolo della guerra secolare alla Cina.
La Cina, dal canto suo, è perfettamente consapevole della delicatezza della sua situazione e si muove con grande prudenza. Se da una parte la Russia delle materie prime sarebbe perfettamente complementare rispetto alla Cina della manifattura e della tecnologia, dall’altra il rischio di accelerare troppo la separazione con l’Occidente (in un momento in cui l’export cinese è così importante per bilanciare i problemi domestici) indurrà Pechino a mantenere un profilo molto basso e a fare di tutto per rispettare le sanzioni contro la Russia.
Restando in Asia, oltre a un Pakistan filocinese ma anche filorusso, va tenuta d’occhio l’India, che cerca in tutti i modi di mantenere aperta la porta alla Russia. Chi in questi anni ha puntato sull’India ritenendola un paese ormai entrato nell’orbita occidentale farà bene a riflettere sul fatto che l’India è un paese fondamentalmente e convintamente nazionalista e che tutto il resto è per lei contingente.
A cura di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos
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